domenica 14 gennaio 2018

Pensieri per lo spirito

E IL SIGNORE È PER IL CORPO
Sublimare l'umanità





Un'umanità ricca

La Liturgia della Parola della prima settimana del Tempo ordinario, collocandosi praticamente a un tiro di sasso dal Tempo di Natale appena conclusosi, continua a portare la nostra attenzione sul concetto di umanità. Un'umanità che non è demonizzata, ma neppure assolutizzata. È invece un'umanità reale, sfaccettata, piena di luci e di ombre. Un'umanità che soffre e prega, come quella di cui ci parlano le letture tratte dall'Antico Testamento, nella figura di Anna, sposa desolata per la propria sterilità e in più derisa dall'altra moglie del proprio consorte, ma che nonostante tutto implora Dio; è un'umanità che ama con tutte le proprie forze e a dispetto di ogni ostacolo, come quella di Elkanà, lo sposo devoto e premuroso della già citata Anna.  È un'umanità che ascolta la chiamata di Dio nel contesto quotidiano, addirittura durante il sonno, come accade a Samuele. 
Ed è anche un'umanità che si ribella a Dio, come fa il popolo di Israele, allorché invoca la scelta di un re, per non essere diverso da tutti gli altri popoli.
Anche l'umanità del Nuovo Testamento, in cui spicca il Gesù uomo, è un'umanità ricca e "piena", in cui niente di ciò che è tipicamente umano viene escluso. C'è il Gesù-uomo che parla, predica, prega, chiama e suscita, proprio per questa sua umanità "così nuova", stupore e timore in chi lo ascolta, fascino irresistibile in quelli che invita a seguirlo, preoccupazione nei demoni che scaccia. L'umanità del Cristo è chinata sull'umanità dei propri simili: così lo vediamo in Mc 1, 29-39, interessarsi della suocera di Pietro, che giace a letto ammalata, e di tanti altri ammalati (come il lebbroso di Mc 1, 40-45 e come il paralitico del secondo capitolo, versetti 2, 1-12) che approderanno finalmente, grazie a lui, alla guarigione. Ma qui il Vangelo inserisce la commistione tra corpo e spirito, la necessità di non dimenticare che non si vive di solo pane, che non si è composti solo di materia. Gesù guarisce i fisici malati, ma guarisce anche gli spiriti portatori di un morbo peggiore, liberandoli dai demoni; Gesù si spinge per tutta la Galilea, per predicare e annunciare il Regno; ed è lo stesso Gesù che al paralitico dice chiaramente «ti sono perdonati i peccati» (Mc 2,5) e «prendi la tua barella e va' a casa tua» (v. 11). 

Passare "attraverso" l'umanità di Gesù

L'Uomo Gesù ci ricorda che siamo fatti di luce e di ombra, di chiaro e di scuro, di bene e di male. Ecco perché la sua stessa umanità diventa il tramite per accedere al divino, per essere risanati dalla sua dimensione di carne, di Uomo speso per amore, di Uomo crocifisso, piagato, donato fino all'ultima goccia di sangue. Di Uomo risorto, che conserva i segni della passione. Se noi tutti siamo come il paralitico, che ha bisogno di essere portato a Dio per guarire nella carne e nell'anima, allora Gesù stesso (la sua umanità) è il buco scavato nel tetto di quell'abisso che dividerebbe ogni creatura umana da Dio, dal totalmente Altro, per usare un'espressione cara a Benedetto XVI. Gesù si è lasciato letteralmente scavare dai chiodi le mani e i piedi; si è fatto squarciare il cuore da una lancia e forare la testa da una corona di spine. Passando attraverso quelle piaghe, ma anche passando attraverso la sua umanità che insegna, corregge, ammonisce, e soprattutto ama, noi possiamo arrivare al divino di Gesù, e quindi al Padre e allo Spirito, che sono intimamente uniti a lui, che sono "in" lui" e che risanano nell'amore. Proprio il sabato della prima settimana conclude infatti questi primi sette giorni successivi al Natale con l'episodio della chiamata di Levi (Mc 2, 13-17) e con la chiara esposizione della missione di Gesù: essere venuto per i malati, non per i sani, per i peccatori, che hanno bisogno di guarigione (cfr. Mc 2,17). La vita di Levi cambia improvvisamente: la chiamata di Cristo deve avere assunto i contorni di una modalità umana talmente tanto convincente, appassionante, profonda... una modalità esteriore che diventa anche e soprattutto interiore, così profonda, da non lasciare spazi a dubbi. Occorre seguire Gesù. 
E qual è questo Gesù che si segue?

Andare a casa di Gesù

I discepoli della prima ora, probabilmente, vivono qualcosa di indefinito. Non riescono a percepire tutta l'essenza, tutta la verità di Gesù. Ma si sentono attirati irresistibilmente da questo uomo speciale, carismatico, mite, ma anche energico, che parla come mai nessuno ha fatto, ama, come mai nessuno ha amato, guarisce e compi prodigi che mai nessuno ha compiuto. Così la seconda domenica del Tempo ordinario si apre con la domanda di Giovanni e Andrea: «dove dimori?» (Gv 1,38). Questa domanda racchiude il bisogno umano, (umanissimo!) di passare del tempo con l'altro, con l'amico. Gesù attira perché non cammina su una nuvola d'ora, spargendo fulmini e saette, come forse qualche divinità antica faceva nell'immaginario collettivo. Gesù attira perché vive una vita umana, straordinaria nell'ordinario e ordinaria nello straordinario, una vita piena, che sembra dire agli altri: anche tu puoi farlo, anche tu puoi dare senso alla tua esistenza. Anche tu puoi accedere a Dio, un Dio personale, vicino, a cui dare del tu, a cui dire abbà, papino.
Andare a casa di Gesù, vedere dove Egli dimori, stare con lui, ricordare finanche l'ora di quell'incontro, significa accedere a quel che cercato dai discepoli («che cercate?» chiede infatti loro il Cristo); significa osservare più da vicino, più intimamente, il mondo umano di Gesù. Perché, come anche oggi si usa dire, la casa parla di chi la abita, ci svela qualcosa della sua personalità, dei suoi gusti, della sua sensibilità. A casa non ci si porta chiunque. A casa si invitano gli amici, i parenti. La casa non si condivide con il primo che capita, ma con i propri familiari. La casa nuova non è quella di due estranei, ma di due sposi. Così, ciascuno di noi, è chiamato ad abitare nella casa di Cristo-Sposo, nella dimora di Gesù. Ed è chiamato a farlo con la propria carne, nella propria carne. Cioè con la modalità umana attraverso cui facciamo l'esperienza di Dio, quell'umanità che è il tramite finanche del nostro spirito; l'umanità che può essere trasparenza di Dio anche per gli altri. L'umanità con cui ci nutriamo – materialmente – dell'Eucaristia, il vero e più intimo a tu per tu, dimorare con Gesù, con Dio, in un Cuore a cuore, o Corpo a corpo, per rimanere in tema. La carne di Gesù è il nostro cibo eucaristico. È il passare dal cercare un che al trovare un chi. Unico, assoluto, insostituibile. Ecco perché è così importante ricordare che «il corpo non è per l'impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo» (1Cor 6,13), perché anche questi nostri corpi, al pari di quello di Gesù, saranno risuscitati. Il nostro corpo può parlare o meno di Dio, attraverso la voce, gli occhi, le mani. Parliamo o non parliamo di Dio con le parole che usiamo o meno, con i vestiti che indossiamo o meno, con i gesti che compiamo o meno. Glorifichiamo Dio con il nostro corpo, pensando che un giorno realmente, con questo nostro stesso corpo, ripeteremo (ma in modo totalmente nuovo) l'esperienza dei primi discepoli: andremo e vedremo dove dimora Gesù, abiteremo la sua casa, per sempre, secondo le parole di Gesù stesso «Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi» (Gv 14,20).

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