lunedì 31 luglio 2017

Pensieri per lo spirito


LA PAZIENZA PER IL REGNO
Costruire nel tempo



Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
(Mt 13, 44)

Mi dissero: «Fa' per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell'uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto». Allora io dissi: «Chi ha dell'oro? Toglietevelo!». Essi me lo hanno dato; io l'ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello.
(Es 32, 23-29)




IL REGNO DEI CIELI È IL VERO TESORO

Il Vangelo della XVII domenica del Tempo Ordinario si concentra sulla preziosità del Regno dei cieli: esso ha un valore così inestimabile che vale la pena disfarsi di tutto ciò che si possiede, pur di comprarlo. Matteo usa delle immagini vivide per descrivere lo stupore che dovrebbe destare nell'uomo la scoperta del Regno: esso è una perla preziosa finalmente trovata da un mercante o anche un tesoro nascosto nel campo, improvvisamente rintracciato da un uomo. Chi trova l'uno e l'altro compie, a prima vista, la più grande follia immaginabile: torna indietro, pieno di gioia, per vendere tutto ciò che possiede e comprare il campo /la perla, e così avere il proprio tesoro.
Ma in realtà l'azione è sensata: l'alea dell'attesa, ricolmata di entusiasmo, in cui si va a vendere i propri beni, sarà ricompensata dal bene maggiore ottenuto alla fine: il tempo dell'attesa è il tempo del sogno, in cui già si pregusta l'appagamento finale del desiderio iniziale, suscitato dalla scoperta.
La gioia di cui è intrisa la pagina del Vangelo facilmente ci contagia e ci infiamma... eppure la vita di tutti i giorni è piena di  situazioni che rendono difficile al Regno – seme di vita – attecchire, trovare in noi terreno buono, privo di soffocazioni che lo facciano morire o di uccelli che vengano a privarci di ciò che in noi è stato seminato. A tal proposito è allora interessante notare come la Parola di Dio proclamata il lunedì della XVII settimana offra la possibilità di continuare a riflettere sullo stesso argomento, illustrando ciò che rende spesso ostica, per l'uomo, questa sorta di "compravendita spirituale": il tempo e l'impazienza.

L'impazienza del popolo d'Israele...

La Prima Lettura, tratta dal libro dell'Esodo, riporta l'episodio degli israeliti che, attendendo il ritorno di Mosè dal monte Sinai, stanchi (impazienti!) per il trascorrere del tempo, chiedono ad Aronne di fabbricare una divinità che si ponga alla loro guida, offrendo tutto il proprio oro da fondere per ottenere il ben noto vitello d'oro. Vitello che sarà poi adorato proprio come si era soliti fare con il vero Dio. L'impazienza del popolo conduce così all'idolatria: per "ottenere" l'idolo viene dato tutto ciò che si possiede, ma questo sacrificio non produrrà frutto, perché mentre il Regno dei cieli nasce da un seme e matura fino a divenire un grande albero, il regno degli idoli è un seme morto, piantato su terra sterile, incapace di produrre qualcosa. Il Salmista dirà infatti che l'idolo è un dio che ha occhi, ma non vede; orecchi, ma non sente; bocca, ma non parla; piedi, ma non cammina. E conclude con un'amara constatazione-profezia: 
«Diventi come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida!» (Sal 115, 8).
Detto in altri termini, il Regno dei cieli, proprio perché mette in comunicazione l'uomo con il Dio vivente, genera vita e rende l'uomo ancora più vivo, veramente vivo; il regno degli idoli rapporta l'essere umano a un non vivente, o una falsa forma di vita: la sua capacità di dissetare i bisogni più profondi dell'uomo e di dare gioia sarà solo fittizia e temporanea. Si rivelerà un bluff, contagerà l'uomo di vuoto e di disperazione. Condurrà dall'iniziale senso di vita alla morte interiore.

... è la nostra impazienza

Ma l'impazienza del popolo ebreo è in realtà il paradigma dell'impazienza degli uomini di ogni tempo in attesa di Dio. 
L'uomo non sa aspettare, insegue il sogno di un regno che si costruisca nell'immediato, in cui siano istantaneamente cancellate ingiustizia e cattiveria dal mondo, affinché tutti vivano in pace e benessere. Questo vale anche nei confronti dell'uomo verso se stesso: l'iniziale gioia all'idea del Regno viene sostituita dall'impazienza dinanzi ai propri difetti, alle proprie mancanze, alle difficoltà nel cambiamento, al dolore per il distacco da ciò che si possiede (soprattutto in termini immateriali: abitudini, vizi, etc. etc.). 
Eppure la pazienza è uno degli "ingredienti" del Regno e Gesù stesso lo sottolinea quando, tra le tante immagini usate per descriverlo, cita quello della rete da pesca gettata nel mare: solo quando essa sarà piena verrà ritirata e allora i pescatori passeranno in rassegna i pesci, separando quelli buoni da quelli cattivi.

Lavorare per il Regno

L'altra immagine, quella del granello di senape gettato nel campo, è anch'essa eloquente: il seme con il tempo matura e cresce, diventa un grande albero sui cui rami gli uccelli nidificano. C'è anche qui la dimensione necessaria del trascorrere del tempo e della pazienza con cui occorre aspettare di ottenere dei frutti. Ma il risultato finale è sorprendente: da un piccolo seme nasce un albero, che diventa utile anche per molte creature (cfr. Mt 13,32). È questa la dimensione "altruista" del Regno, che non è un sistema chiuso in se stesso, ma aperto, per l'altro, qualcosa da condividere, non da tenere stretto, come un talento sotterrato. E proprio grazie a tale immagine si può meglio comprendere il valore inestimabile, la grandezza di ciò che si acquista rinunciando a tutto il resto, ma anche la necessità dell'impegno personale affinché quell'immagine di Regno di giustizia e di pace a cui l'uomo aspira e il cui seme è già in questo mondo, si attui definitivamente, costruendo giorno dopo giorno i rami del grande albero nati dal piccolo seme. Il Regno piantato nel cuore dell'uomo ha bisogno di essere coltivato quotidianamente, con la pazienza dell'agricoltore che attende il ciclo delle stagioni e i tempi adeguati per la maturazione dei frutti, ma che sa anche accettare le avversità della natura, le intemperie che distruggono, la zizzania che cresce nel campo. Lavorare per il Regno implica il coraggio per non abbattersi e per ricominciare sempre, nella consapevolezza che il suo seme non muore per sempre, ma ha in sé il germe della vita, capace di far fiorire anche il deserto.