venerdì 26 febbraio 2016

Cibo e Parola


«IL DIGIUNO CHE VOGLIO» (Is 58,6)
Meno spreco, più Parola
(in collaborazione con Enza, foodblogger su Foodtales)


Chiamatiallasperanza e Foodtales continuano a proporvi delle brevi riflessioni settimanali sul digiuno, articolate attorno al tema «Il digiuno che voglio», parole pronunciate da Dio nell'Antico Testamento. Attraverso di esse Egli vuole frantumare l'ipocrisia dell'essere umano, impegnato nell'osservanza di riti, ma spesso lontano - con il cuore - da Lui e dal prossimo. È la stessa ipocrisia contro cui si scaglierà Gesù nel Vangelo, quando inviterà a digiunare, pregare e fare l'elemosina senza suonare la tromba, ma nel segreto del proprio cuore, perché solo dal Padre, che conosce interiormente l'uomo, verrà la ricompensa.







DIGIUNARE PER NON SPRECARE

Il tempo del digiuno può diventare l'occasione per la "sottrazione dello spreco" dalla mensa reale e ideale dell'uomo. Mensa reale, perché lo spreco ha una dimensione prettamente alimentare, che coinvolge (soprattutto) i Paesi ricchi a discapito di quelli più poveri; mensa ideale, in quanto lo sperpero - che si traduce in perdita di denaro - si misura anche in beni diversi dal cibo, coinvolgendo tutta una serie di prodotti (da quelli di uso comune a quelli meno consueti) e riguardando non solo le fasce più abbienti della popolazione, ma anche il ceto medio, a volte autore di un ipersfruttamento di oggetti e alimenti, altre volte fautore dell'opzione per il bene di lusso, anche a dispetto delle reali possibilità economiche. Non di rado, lo spreco è poi il frutto di una malaccortezza non sempre calcolata. Da qui la necessità di un vero e proprio allenamento anti-abusivismo consumistico.

domenica 21 febbraio 2016

Pensieri per lo spirito


«SOGNO O SON DESTO?» 
Riconoscere Gesù che passa


L'episodio della Trasfigurazione di Gesù permette una riflessione sul "sonno" che rischia di opprimere il credente, facendogli chiudere gli occhi sulla gloria del Signore che, tante volte e in diversi modi, si manifesta nella sua vita. 




«Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; 
ma, quando si svegliarono, 
videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui».
(Lc 9,32)


UN MOMENTO DI SUSPENSE

Il Vangelo della Trasfigurazione presenta Pietro, Giacomo e Giovanni «oppressi dal sonno». Sembra quasi un espediente cinematografico per aumentare la suspense del lettore: mentre i loro occhi si chiudono per la stanchezza, sta accadendo qualcosa di straordinario. Gesù si trasfigura e accanto a Lui compaiono Mosè ed Elia. Basterebbe pochissimo e i tre apostoli perderebbero un'esperienza irripetibile: l'anticipo del Paradiso, una finestra sul futuro, un assaggio escatologico. Ma - ed è qui che viene il bello - proprio quando rischiano di lasciarsi scappare quel regalo inatteso che si sta scartando a un passo da loro, i loro occhi si riaprono ed essi possono contemplare la gloria di Cristo.

Sogno o son desto?

«Per quanto dal contesto risulti che la trasfigurazione avviene di notte e sia quindi plausibile che i discepoli si siano addormentati, qui, però, il sonno che li opprime (bareo, pesare, schiacciare) si riferisce probabilmente a quella fase intermedia in cui si comincia a cedere al sonno, ma resta ancora un minimo di vigilanza prima di addormentarsi del tutto.

venerdì 19 febbraio 2016

Cibo e Parola

«IL DIGIUNO CHE VOGLIO» (Is 58,6)
Meno parole, più Parola
(in collaborazione con Enza, foodblogger su Foodtales)


Chiamatiallasperanza e Foodtales continuano a proporvi delle brevi riflessioni settimanali sul digiuno, articolate attorno al tema «Il digiuno che voglio», parole pronunciate da Dio nell'Antico Testamento. Attraverso di esse Egli vuole frantumare l'ipocrisia dell'essere umano, impegnato nell'osservanza di riti, ma spesso lontano - con il cuore - da Lui e dal prossimo. È la stessa ipocrisia contro cui si scaglierà Gesù nel Vangelo, quando inviterà a digiunare, pregare e fare l'elemosina senza suonare la tromba, ma nel segreto del proprio cuore, perché solo dal Padre, che conosce interiormente l'uomo, verrà la ricompensa.




"Digiuna dal dire parole che feriscono:
riempiti di quelle che risanano", recita una preghiera




DIGIUNARE DALLE PAROLE CATTIVE

«Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi
e colpendo con pugni iniqui.
Non digiunate più come fate oggi,
così da fare udire in alto il vostro chiasso» (Is 58,4).
Con questa ammonizione il Signore svela l'ipocrisia di chi si astiene dal cibo solo materialmente, ma non riesce a vivere la dimensione penitenziale come tempo di conversione, cambiamento e purificazione.
Proprio in quanto il privarsi degli alimenti non è il fine, ma un mezzo, non ha senso digiunare corporalmente se sul piano spirituale si fa invece indigestione di sostanze altamente nocive come la calunnia, la mormorazione, il litigio. Di tutte quelle "parole", cioè, capaci di uccidere la verità, la dignità altrui e finanche l'anima di chi le pronuncia.

domenica 14 febbraio 2016

Pensieri per lo spirito


C'È DISEGNO E DISEGNO... 
Dai progetti di Dio ai progetti dell'uomo


Siamo sicuri che tutti i "disegni" umani siano veramente "disegni" di Dio? Assistiamo spesso - dai pulpiti più disparati - a dichiarazioni su ciò che il Signore vuole, che ha detto o non detto, in modo particolare quando si affrontano gli argomenti "famiglia-figli-amore". Ma l'uomo ha realmente le chiavi in mano per comprendere (sganciandosi dalla Parola di Dio e dalla dottrina della Chiesa) ciò che è il pensiero divino su questi temi così scottanti, così legati al senso stesso dell'essere "uomo" e "donna", "creature viventi" con una connotazione precisa fin dal primo istante del concepimento?
Per meditare mantenendosi a metà tra il serio e il faceto, rimanendo su toni rilassati in un'atmosfera già ben "surriscaldata", ho scelto di condividere l'estratto di un testo di una laica consacrata. Si tratta di Lia Cerrito (1923- 1999), che nel 1995 pubblicò un libricino dal titolo «Il tavolo del Padreterno», in cui si narrano le vicende di un Dio affaccendato, dalla sua scrivania, a chinarsi sulle necessità degli uomini, ma anche a fare i conti con la loro testardaggine, con la loro pretesa di riuscire a comprendere le sue vie, mentre in realtà non fanno che confondere i propri progetti con quelli del Signore (cfr.Is 55,8). Nel racconto è presente anche un diavoletto, Menicò, descritto secondo il tono di tutta la storia, un po' fanciullesca, un po' ironica. Questa modalità, ancora una volta tra il serio e il faceto, spinge tuttavia a meditare sulla scia di una sorta di leggerezza che, inevitabilmente, conduce spesso all'amara conclusione che i disegni degli uomini sono disegni, tante volte, umani e diabolici, in cui il desiderio creaturale del "volere a tutti i costi" rende ciechi rispetto al vero progetto di Dio sulla storia personale e collettiva.




I "DISEGNI" DI DIO
(Lia Cerrito, Il tavolo del Padre eterno, San Paolo, 2003, pp. 11-14; 16-18)


Sul tavolo del Padreterno, come ogni giorno, l'angioletto segretario ha portato la posta.
Una posta, invero, piuttosto monotona: 
«Ascoltaci, Signore!». «Ascoltaci, Signore!». «Ricordati, Signore!». «Ricordati, Signore!». «Fa', o Signore!». «Fa', o Signore!».
Il Padreterno la scorre rapidamente.

mercoledì 10 febbraio 2016

Cibo e Parola


«IL DIGIUNO CHE VOGLIO» (Is 58,6)
Meno cibo, più Parola
(in collaborazione con Enza, foodblogger su Foodtales)


A partire da oggi, e per le prossime cinque settimane di Quaresima, Chiamatiallasperanza e Foodtales vi proporranno delle brevi riflessioni sul digiuno, articolate attorno al tema «Il digiuno che voglio», parole pronunciate da Dio nell'Antico Testamento. Attraverso di esse Egli vuole frantumare l'ipocrisia dell'essere umano, impegnato nell'osservanza di riti, ma spesso lontano - con il cuore - da Lui e dal prossimo. È la stessa ipocrisia contro cui si scaglierà Gesù nel Vangelo, quando inviterà a digiunare, pregare e fare l'elemosina senza suonare la tromba, ma nel segreto del proprio cuore, perché solo dal Padre, che conosce interiormente l'uomo, verrà la ricompensa.





I piatti vuoti, simbolo del digiuno




Il tempo liturgico della Quaresima si apre con il Mercoledì delle Ceneri, in cui il simbolismo della "polvere" che i credenti ricevono sul capo ricorda la vanità delle cose, la temporaneità della vita terrena e, in sintesi, la morte che accomuna ogni essere umano.
Inoltre, questo tempo penitenziale viene avviato con la pratica del digiuno e dell'astinenza dalle carni, cui farà seguito, tutti i venerdì di quaresima, l'astinenza dalle carni e nuovamente il digiuno e l'astinenza il Venerdì Santo.


1) La legge del  digiuno "obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate. 

2) La legge dell'astinenza proibisce l'uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi. 

3) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60' anno iniziato; alla legge dell'astinenza coloro che hanno compiuto il 14'  anno  di età. 

(Nota Cei, Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza, n. 13)


lunedì 8 febbraio 2016

Arte e Fede / 2

«IL FIGLIOL PRODIGO NELLA VITA MODERNA»
Il ciclo pittorico di James Tissot: «La partenza»


L'arte può parlare di misericordia all'uomo di oggi? Sì che può! Lo ha fatto per secoli e continua a farlo, a volte in maniera sorprendente, come accade nel ciclo «Il figliol prodigo nella vita moderna» realizzato da James Tissot tra il 1880 e il 1882. Il ciclo consta di quattro tele in cui il pittore affronta (quasi come se si trattasse di un film drammatico dai molti colpi di scena) la storia di questo giovane irruento e scapestrato, che decide di lasciare la casa e gli affetti, dopo aver preteso - e ottenuto - dal padre la "parte che gli spetta". L'intera serie è particolarissima, perché calata non ai tempi di Gesù, ma nel mondo "moderno" (l'ottocento contemporaneo al pittore) e questo consente una rilettura della parabola in termini di attualità, come se si trattasse (e si tratta!) di un "evergreen". 
Sul sito internet di Note di Pastorale Giovanile vi propongo, per questo mese, un commento estetico-spirituale al primo quadro del ciclo: «La partenza»
L'intera serie verrà analizzata nei prossimi mesi, per cui, rimanete "sintonizzati"! 






domenica 7 febbraio 2016

Pensieri per lo spirito


TI PRENDO "IN" PAROLA
La sfida della corrispondenza tra l'essere e il dire



PRENDERE IN PAROLA

«Sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5): è la risposta di Simon Pietro all'invito di Gesù a gettare le reti, dopo una nottata passata in mare senza prendere neppure un pesce.
Una risposta di fede, una risposta che implica un coinvolgimento pieno di Pietro, un superamento dei calcoli razionali, probabilistici, "percentualistici"; una risposta che indica il voler gettare via la zavorra del solo materialismo, per far spazio alla fede totale, all'adesione interiore ed esteriore, alla fiducia unica, assoluta, che si può riporre esclusivamente in Dio. 
Credere "in" qualcuno coinvolge in maniera profonda tanto chi chiede, suggerisce, comanda di fare qualcosa, quanto chi si lascia coinvolgere, rispondendo alla parola - più o meno imperativa - che gli viene rivolta.
Un modo di dire che viene spesso impiegato per esprimere questa fiducia è "ti prendo in parola". Un'espressione che richiama un nocciolo vitale anche per la fede.

martedì 2 febbraio 2016

Anno della Vita Consacrata


ACCOGLIERE LA LUCE VERA
Lasciarsi illuminare da Cristo per illuminare il mondo


Nella festa della Presentazione al Tempio di Gesù si conclude l'Anno della Vita Consacrata.
Il dono che i fratelli e le sorelle consacrate fanno della loro vita - attraverso i voti di povertà, castità e obbedienza - diventa un segno luminoso per il mondo, che aiuta a contemplare ogni cosa nella prospettiva ultraterrena, come specchio delle realtà celesti e della vita dei beati in Paradiso. «Il vergine ha già varcato la soglia, è figlio della risurrezione. Così è nella verginità che l'uomo di fatto entra nel paradiso, ed è nella verginità che l'uomo di fatto riacquista l'immagine di Dio, ottiene il potere di seguire l'Agnello ovunque Egli vada, e l'anima sposa di Cristo ottiene di nuovo un potere su tutte le cose, compie l'unità di tutta creazione» (Divo Barsotti, La via del ritorno,  San Paolo, 2010, p. 93). L'icona del Risorto è icona di luce, di un'umanità nuova, glorificata. Così, il consacrato - attraverso la sua scelta di donazione totale a Dio - ricorda a ciascun battezzato ("consacrato" al Signore attraverso il Sacramento ricevuto, che è lavacro di "illuminazione" [1]) che occorre farsi illuminare da Cristo, luce vera (cfr. Gv 8,12), per diventare «luce del mondo» (Mt 5,14), secondo la sua stessa parola. 




Dai Discorsi di san Sofronio, vescovo
​(Disc. 3, sull’Hypapante 6, 7; PG 87, 3, 3291-3293)

«Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi a tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce.
La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.
La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1, 9) è venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, è la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene».


[1] «Questo lavacro è chiamato illuminazione, perché coloro che ricevono questo insegnamento [catechistico] vengono illuminati nella mente ». Poiché nel Battesimo ha ricevuto il Verbo, «la luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), il battezzato, dopo essere stato «illuminato», è divenuto «figlio della luce» e «luce» egli stesso (Ef 5,8):
II Battesimo «è il più bello e magnifico dei doni di Dio. [...] Lo chiamiamo dono, grazia, unzione, illuminazione, veste d'immortalità, lavacro di rigenerazione, sigillo, e tutto ciò che vi è di più prezioso. Dono, poiché è dato a coloro che non portano nulla; grazia, perché viene elargito anche ai colpevoli; Battesimo, perché il peccato viene seppellito nell'acqua; unzione, perché è sacro e regale (tali sono coloro che vengono unti); illuminazione, perché è luce sfolgorante; veste, perché copre la nostra vergogna; lavacro, perché ci lava; sigillo, perché ci custodisce ed è il segno della signoria di Dio».(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1216)