venerdì 29 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - Novena 2016 / 8


VISITARE GLI INFERMI


L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.


PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.



Allo scoppio del colèra a Torino (1854), don Bosco si spese per la visita e la cura degli ammalati. Gli venne affidato l’incarico di Direttore spirituale in un lazzaretto nella parrocchia di Borgo Dora, e vi si recava assieme a don Alasonatti, senza badare «né a cibo, né a sonno, nè a riposo. D. Bosco gettavasi allo sbaraglio, non curandosi di veruna precauzione per non attaccarsi il morbo. Vegliava di giorno e di notte. Per lungo tempo non prese altro riposo che gettandosi per un'ora o due su qualche sofà o seggiolone. Di dormire in letto non se ne parlava». Coinvolse in quest’opera di misericordia anche i suoi ragazzi, invitando i volontari a seguirlo, ma non senza aver adottato una particolare “precauzione”: egli aveva assicurato loro che, se fossero rimasti in grazia di Dio, nessuno si sarebbe ammalato. Così, «coi giovani più grandicelli egli andava continuamente qua e là dove sapeva esservi colerosi, portando medicine, limosine e robe. Entrava in tutte le case ove erano infermi, ma non poteva fermarsi molto tempo essendo troppi coloro che avevano bisogno del suo ministero sacerdotale. Quando vedeva che in quelle case vi era nessuno per l'assistenza corporale, lasciava o mandava poscia uno dei suoi giovani, i quali passavano molte notti al letto degli ammalati. Colla sua calma amorevole egli sapeva incoraggiarli, lodandone la buona volontà, e non ebbe mai Parole che accennassero alla minima impazienza. Anche la carità dei giovani infermieri si mostrò eguale a quella di D. Bosco. Ma non si ha a credere che loro non toccasse di fare da principio un supremo sforzo, per superare la paura e vincere se stessi. Tra gli altri uno di quei 14, che pei primi diedero il proprio nome, e si accostarono coraggiosamente al letto dei colerosi, basterebbe da solo a farci comprendere la violenza che fu loro necessaria, per applicarsi a quell'opera, e durarla sino alla fine. Imperocchè la prima volta che egli pose piede nel lazzaretto, al vedere gli atti che facevano i colpiti dal terribile morbo, al mirarne le facce livide e incadaverite, gli occhi incavati e semispenti, al vederli soprattutto a spirare in orribil modo, fu preso da tanto spavento, che divenne pallido al pari di loro, gli si oscurò la vista, gli mancarono le forze e svenne. Fortunatamente si trovava con lui D. Bosco, il quale, accortosi del caso, lo trattenne dal cadere a terra, lo trasportò all'aria libera, e lo fece tosto confortare con apposita bibita; chè altrimenti il poverino sarebbe forse stato giudicato per assalito dal coléra, e messo cogli altri infermi.  Veramente non di poco coraggio era d'uopo esser fornito, per raggirarsi intrepido tra quei luoghi del dolore e della morte. Imperocchè oltre gli strazianti patimenti, a cui erano in preda tanti poveri malati, restringeva il cuore per alta compassione, il vederli, non appena spirati, trasportare nel vicino deposito, e quasi subito trasferire al cimitero e sotterrare» [1]. 





Anni prima, nel luglio del 1846, don Bosco si era ammalato gravemente. Così gravemente da trovarsi a un passo dal morire. I suoi troppo impegni e le ore rubate al riposo notturno per scrivere i suoi libri, avevano compromesso la sua salute, già non di ferro. Fu in quell'occasione che sperimentò su di sé - forse in maniera più intensa che mai - l'opera di misericordia "visitare gli infermi".
«Quando si sparse la notizia che la mia malattia era grave, tra i giovani si diffuse un dolore vivissimo, una costernazione incredibile. Ogni momento, alla porta della stanza dov'ero ricoverato arrivavano gruppi di ragazzi. Piangevano e chiedevano mie notizie. Non se ne volevano andare: aspettavano di momento in momento una notizia migliore. Io sentivo le domande che rivolgevano all'infermiere, e ne ero commosso.
L'affetto verso di me li stava spingendo a veri eroismi. Pregavano, facevano digiuni, partecipavano alla Santa Messa e facevano la Comunione. [...] Dio li ascoltò. Era un sabato sera, i medici fecero consulto e pronunciarono la sentenza: quella sarebbe stata la mia ultima notte di vita. Ne ero convinto anch'io, perché non avevo più forze e avevo continui sbocchi di sangue. A notte avanzata sentii una gran voglia di dormire, e mi assopii. Quando mi svegliai ero fuori pericolo. I medici Botta e Caffasso mi visitarono al mattino, e mi dissero di andare a ringraziare la Madonna per grazia ricevuta. La notizia gettò la gioia tra i miei ragazzi. Non volevano crederci se non mi vedevano. E mi videro infatti pochi giorni dopo. Appogggiandomi a un bastone mi recai all'Oratorio. Mi accolsero cantando e piangendo, con una commozione che è più facile immaginare che descrivere. Cantarono un inno di ringraziamento a Dio, mi avvolsero di acclamazioni e di entusiasmo» [2].


NOTE

[1] MB V, 92-94.

[2] San Giovanni Bosco, Memorie, trascrizione in lingua corrente, Elledici, 1986, pp. 157-158.

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