sabato 23 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - Novena 2016 / 2


CONSOLARE GLI AFFLITTI


L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.



PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.




«Nella primavera 1848 si presentò a don Bosco un ragazzo di nome Felice, che aveva la fantasia del capo nato, ma il cuore traboccante di fiele. Più che in casa viveva in mezzo alla strada, dove capitanava frotte di monelli. A casa riceveva solo un po’ di pane e molte botte. Il piccolo capobanda, spinto dalla curiosità e attratto dai canti e dai suoni che giungevano dall’Oratorio, un giorno con la sua squadra vi fece irruzione. Rimase come folgorato dallo sguardo penetrante di don Bosco, e non tardò a mettersi in fila con gli altri per la confessione. Versò il suo cuore in quello di don Bosco, e ascoltò parole che gli infusero una gioia indicibile. L’oratorio divenne il suo luogo prediletto» ma i genitori non ne furono per nulla contenti, anche per via delle idee anticlericali del padre. Un giorno, Felice, a cui era stato proibito di frequentare l’oratorio, ebbe il coraggio di replicare al padre, e decise di andare a rifugiarsi da don Bosco. Il santo, tuttavia, quella sera non era ancora rientrato a Valdocco. Il ragazzo, allora, per sfuggire alla madre che lo inseguiva, si arrampicò su un gelso che si ergeva davanti al portone dell’oratorio. Da lassù ebbe modo di sentire il diverbio tra la donna e il santo, nel momento in cui questi rincasò. Alla fine la madre se ne andò, Felice scese dall’albero, e «andò a picchiare alla camera di don Bosco. Mamma Margherita gli riscaldò subito un po’ di minestra, e Don Bosco improvvisò alla meglio un letto per lui».  
Il ragazzo rimase all’oratorio, divenne sacerdote, anzi, un sacerdote molto stimato nel clero torinese, il teologo Reviglio. In sua lettera indirizzata a don Bosco, lo definì «"il mio illustre benefattore e tenerissimo padre".
Per poco che si rifletta sull’infanzia di don Felice Reviglio, appare evidente che egli non fu accettato dai suoi genitori, e che essi lo tolleravano assai di malavoglia» [2]. Don Bosco pose fine alla sua afflizione di sentirsi poco amato, e divenne per lui un padre, un maestro e un amico, come fu per moltissimi altri giovani. 


La vignetta della rubrica Le cose di don Bosco (nel Bollettino Salesiano),
che riporta - con un tocco simpatico - la storia del gelso
su cui si nascose il  giovane Felice Reviglio


Don Bosco sapeva – per averne vissuto sulla propria pelle l’esperienza – cosa significhi perdere un genitore, cosa voglia dire vivere un rapporto conflittuale con un familiare (a causa dei dissapori con il fratello Antonio, contrario al suo desiderio di farsi prete). Anche il santo sperimentò su di sé la misericordia dell’essere consolato nella sua afflizione. Come quando, ancora ragazzino, incontrò don Calosso, presbitero di Chieri. Giovannino Bosco, poco più che undicenne,  era andato a Buttigliera ad ascoltare le prediche di vari sacerdoti, in occasione di quella che era una vera e propria «missione predicata». Vi andò anche don Calosso, «un prete molto buono, anziano». Tra i due nacque un simpatico dialogo. Il sacerdote si meravigliò della giovane età del “piccolo” don Bosco, e credette che non avesse capito nulla della predica. Ma Giovannino lo stupì doppiamente: non solo era seriamente convinto d’aver compreso i missionari, ma acconsentì oltremisura al desiderio di don Calosso di fargli sentire «quattro parole» dell'omelia ascoltata, recitandogliela per intero. 
« - Come ti chiami? Chi sono i tuoi genitori? Hai frequentato molte scuole? 
- Mi chiamo Giovanni Bosco. Mio padre è morto quando ero ancora un bambino. Mia madre è vedova con tre figli da mantenere. Ho imparato a leggere a scrivere.
- Non hai studiato la grammatica latina?
-  Non so cosa sia.
- Ti piacerebbe studiare?
- Moltissimo.
- Che cosa te lo impedisce?
- Mio fratello Antonio.
- Perché tuo fratello Antonio non vuole che studi?
- Dice che andare a scuola vuol dire perdere tempo. Ma se potessi andare a scuola, io il tempo non lo perdere. Studierei molto.
- E perché vorresti studiare? 
- Per diventare prete». 
Il dialogo proseguì… qualche altra battuta, e don Calosso, prima di salutare il ragazzino, gli disse: «Non scoraggiarti. Penserò io a te e ai tuoi studi. Domenica vieni a trovarmi con tua madre, e vedrai che aggiusteremo tutto». 
Don Bosco cominciò ad andare ogni giorno da don Calosso: studiava, e poi il resto della giornata la passava «lavorando nei campi, per accontentare Antonio». La gioia del piccolo Giovanni era incommensurabile «in quel tempo ho cominciato a provare la gioia di avere una vita spirituale» - scrisse. Quando poi i rapporti con il fratello Antonio – insoddisfatto per il tempo che il fratello sottraeva al lavoro nei campi – si fecero più difficili, mamma Margherita acconsentì alla proposta di don Calosso a che il giovane don Bosco andasse a vivere da lui.  Così il santo ricordò quel momento di felicità: «avevo una gioia che nessuno può immaginare. Don Calosso era diventato il mio idolo: gli volevo bene come a un papà, pregavo per lui, lo servivo volentieri in tutto quello che potevo. Avrei voluto fare cose fantastiche per lui, dare anche la mia vita. Quell’uomo di Dio mi voleva veramente bene. Più volte mi disse: - Non preoccuparti per l’avvenire. Finché vivrò non ti lascerò mancare niente. E se morirò, penserò lo stesso al tuo futuro» [2]. 
Don Calosso morì poco dopo. Aveva realmente disposto tutto in modo da assicurare a Giovanni di proseguire gli studi, ma egli non volle appropriarsi del denaro che gli era stato lasciato, a discapito dei parenti del defunto. Ma quell’esempio straordinario di misericordia ricevuta lasciò un segno indelebile in don Bosco. Anche lui seppe essere per molti giovani (ben più in difficoltà di come lui era da ragazzino!) la gioia di trovare un padre, una guida per la vita spirituale e materiale, tanto da suscitare in loro il desiderio di “dare anche la vita” per don Bosco (come dimostrarono al tempo della malattia che rischiava di condurlo alla tomba, nel 1846). E come don Calosso si era impegnato per lui, così don Bosco si impegnò fino all’ultimo respiro – e anche “Oltre” – per i suoi giovani.


NOTE

[1]   Adolfo L’Arco, Così d. Bosco amò i giovani, EDB, 1987, pp. 29-31.

[2] San Giovanni Bosco, Memorie, trascrizione in lingua corrente, Elledici, , 1986, pp. 23-28.

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