domenica 1 novembre 2015

«SIATE SANTI, PERCHÈ IO, IL SIGNORE VOSTRO DIO, SONO SANTO» (Lv 19,2)

Santità di Dio, santità dell'uomo
Riflessioni spirituali 


La santità dell'essere umano è una santità "per partecipazione". Solo Dio, infatti è veramente santo. Come raggiungere, allora, la perfezione delle virtù, la "pienezza", se questi sono attributi propri solo dell'Onnipotente? La santità è un miraggio? No, non lo è. Anzi, Dio stesso invita l'uomo a essere santo, perché Egli è santo. In questo "perché" i scopre una miriade di informazioni: la santità dell'uomo è "consequenziale" a quella divina. È possibile essere uomini santi "in quanto" Dio è santo. Se l'uomo ancorasse il proprio desiderio di santità (o la possibilità di esserlo) solo a se stesso, alle proprie capacità... fallirebbe. L'uomo è perfettibile, ma non è la perfezione assoluta. L'uomo è fatto di carne e di spirito, di corpo e di anima. E l'elemento materiale tende spesso a spingerlo verso il male che non vorrebbe, anziché verso il bene da lui anelato, secondo una nota espressione paolina (cfr. Rm 7,19). Dio dà all'uomo la "garanzia" di potersi santificare. L'uomo è chiamato a collaborare con Dio alla propria santificazione, aprendosi alla Grazia e alla carità. Dio è la garanzia stessa dell'opzione umana per la santità. Lo è così tanto da aver dato al mondo il modello della santità, «il santo dei santi», Cristo Gesù, il Verbo Incarnato, in cui il Dio santo è ipostaticamente unito (per sempre!) all'Uomo santo.







«Come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta»
(1 Pt 1,15).





LA SANTITÀ DI DIO

La santità è qualcosa che fa parte - in maniera intrinseca - del progetto di Dio sull'uomo. Ed è così in quanto essa fa parte - ontologicamente - di Dio stesso. Solo Dio è santo, proprio come viene detto nell'Apocalisse, con riferimento all'Agnello, laddove nel canto viene proclamat«Tu solo sei santo» (Ap 15,14). 
La santità umana è, allora, una santità per "partecipazione", se così si può dire, perché Dio chiama l'uomo a condividere con Lui qualcosa della sua propria, unica e vera santità. La santità di Dio è infatti assoluta,  primordiale. Esiste da sempre, perché da sempre esiste Dio. Esisterà per sempre, perché per sempre esisterà Dio. La santità divina è la perfezione assoluta, la pienezza di ogni bontà, di ogni virtù, di ogni bellezza. La completezza dell'Essere. E, tuttavia, nel Levitico, risuona l'invito di Dio al suo popolo: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2). In queste parole è contenuta una "sfida" lanciata all'uomo: la santità, pur essendo propriamente solo di Dio, non è impossibile per l'umanità. Al contrario, essa è raggiungibile, proprio perché è - propriamente - solo di Dio. L'assicurazione all'uomo della possibilità di realizzarla, di raggiungerla, non è in se stesso, ma in un Altro, che veramente la possiede, che "è" la santità stessa. 
È interessante anche il significato del termine santo: qualcosa che è «inviolabile». La santità designa, «tutto ciò che è stato consacrato da una legge morale o religiosa. In senso stretto, santo è attributo della divinità, in quanto essere sommamente venerabile, e per estensione, di tutto ciò che appartiene a Dio o che da Lui emana, che ha un rapporto particolare con Dio, che a Dio è consacrato» [1]. 

La santità di Gesù, vero Dio e vero Uomo

In questi termini si può spiegare la santità di Gesù - l'Unto, il consacrato di Dio - nella sua umanità. Ma anche la santità dell'uomo nella sua conformazione a Cristo, attraverso il Battesimo, che rende la creatura "consacrata" anch'essa al Signore.
Soffermandosi sulla figura di Gesù, si può dire che nella santità di Cristo, l'uomo non soltanto si affaccia sul mistero della santità di Dio, ma anche su quello della propria santità, di una santità umana che viene mostrata alla creatura nella sua declinazione "pratica", per così dire, raggiungibile attraverso il "mezzo" dell'umanità di cui l'essere umano è dotato. Leggiamo in uno scritto di Karol Wojityla, oggi san Giovanni Paolo II:
«Nel Cristo, la santità assoluta di Dio viene unificata ipostaticamente con la santità dell'Uomo. La santità di Dio (come l'amore del bene e l'odio del male), ma soprattutto come l'amore del bene in tutto, pure in colui che è cattivo (per accidens). Ogni bene (la somma dei valori), tranne Dio, ha il suo originale nel Dio stesso. Dio ama l'uno nell'altro - consiste in questo la Sua santità. Questa santità è il fondamento della Redenzione, intesa anche come la "rivalutazione" di ogni cosa. Dio ristabilisce il valore di ogni cosa nell'Uomo con il quale è unito personalmente. Proprio il Cristo- Redemptor: la santità dell'Uomo consiste nella realizzazione del Bene che Dio ama - in questo modo il Cristo è il modello della santità. In Lui questa santità, in un certo senso, si identifica con la Redenzione. In noi, deve consistere 
1° nella conversione a Dio, 
2° nella rivalutazione del tutto, secondo il valore che il tutto possiede in Dio quel valore indicato dal Cristo» [2].
Secondo la rilettura che san Paolo offre della redenzione, si comprende che Cristo è venuto a riconciliare l'uomo e Dio, abbattendo il muro dell'inimicizia che li divideva. Cristo ha reso possibile fare «dei due una cosa sola, un solo uomo nuovo» (cfr. Ef 2, 14-15). Questo mistero si può anche pensare anche a un altro livello, non solo quello che coinvolge l'uomo e Dio, ma anche l'uomo nel suo interno: nell'umanità di Cristo viene riconciliata la lotta tra la concupiscenza della carne e il desiderio di bene che alberga nel cuore di ogni uomo, creato a immagine e somiglianza divina. Cristo ha patito le tentazioni e le ha sconfitte. Cristo ha lottato con il male e con il maligno stesso. Ha così dimostrato che la santità è possibile all'uomo, nonostante la debolezza di cui è fatta la materia umana; ha dato a ciascuna cosa un "valore" (parafrasando il pensiero di san Giovanni Paolo II). La »ricapitolazione» (cfr. Ef 1,10, nella traduzione CEI 1974) in Cristo di tutte le cose tocca dunque anche il mistero del bene e del male, che, in sostanza, è il problema della lotta che l'uomo deve affrontare, se vuole giungere alla santità.
«Bene e male sono, quindi, considerati alla luce dell’opera redentrice di Cristo. Essa, come fa intuire Paolo, coinvolge tutto il creato, nella varietà delle sue componenti (cfr Rm 8,18-30). La stessa natura infatti, come è sottoposta al non senso, al degrado e alla devastazione provocata dal peccato, così partecipa alla gioia della liberazione operata da Cristo nello Spirito Santo. Si delinea, pertanto, l’attuazione piena del progetto originale del Creatore: quello di una creazione in cui Dio e uomo, uomo e donna, umanità e natura siano in armonia, in dialogo, in comunione. Questo progetto, sconvolto dal peccato, è ripreso in modo più mirabile da Cristo, che lo sta attuando misteriosamente ma efficacemente nella realtà presente, in attesa di portarlo a compimento. Gesù stesso ha dichiarato di essere il fulcro e il punto di convergenza di questo disegno di salvezza quando ha affermato: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). E l’evangelista Giovanni presenta quest’opera proprio come una specie di ricapitolazione, un “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). 5. Quest’opera giungerà a pienezza nel compimento della storia, allorché - è ancora Paolo a ricordarlo - “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28). L’ultima pagina dell’Apocalisse dipinge a vivi colori questa meta. La Chiesa e lo Spirito attendono e invocano quel momento in cui Cristo “consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza... L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa (Dio) ha posto sotto i piedi” del suo Figlio (1Cor 15,24.26). Al termine di questa battaglia - cantata in pagine mirabili dall’Apocalisse - Cristo compirà la ‘ricapitolazione’ e coloro che saranno uniti a lui formeranno la comunità dei redenti, che “non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, dall’amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione” (CCC, 1045)» [3].

LA SANTITÀ DELL'UOMO

Questa è dunque la meta di chi vuole farsi santo: raggiungere quel luogo di piena comunione, in cui non c'è più lotta tra bene e male, perché i santi hanno già scelto il bene, e la loro scelta è piena e definitiva.
Incorporati a Cristo nel Sacramento del Battesimo, gli uomini sono chiamati a conversione quotidiana e continua, cioè a operare una diuturna e costante scelta del bene; sono chiamati anch'essi a "ricapitolare" ogni cosa della propria vita in Cristo, cioè a rivalutare (usando l'espressione di Giovanni Paolo II) ogni cosa alla luce del Vangelo. La Buona Novella dice all'uomo cos'è importante e cosa non lo è; cosa occorre cercare prima di ogni altra, per raggiungere il Regno di Dio; quali sentimenti coltivare nei confronti dei propri fratelli. Il Vangelo (e prima ancora la Parola nella sua interezza) contiene le indicazioni stradali per arrivare in Cielo, dimora eterna dei santi. Il Vangelo dimostra all'uomo che la santità del Cielo si costruisce già sulla terra. 

Santità, carità e preghiera nell'insegnamento di Benedetto XVI

«Che cosa vuol dire essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la santità sia una meta riservata a pochi eletti. San Paolo, invece, parla del grande disegno di Dio e afferma: “In lui – Cristo – (Dio) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4). E parla di noi tutti. Al centro del disegno divino c’è Cristo, nel quale Dio mostra il suo Volto: il Mistero nascosto nei secoli si è rivelato in pienezza nel Verbo fatto carne. E Paolo poi dice: “È piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza” (Col 1,19). In Cristo il Dio vivente si è fatto vicino, visibile, ascoltabile, toccabile affinché ognuno possa attingere dalla sua pienezza di grazia e di verità (cfr Gv 1,14-16). La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua. È l’essere conformi a Gesù, come afferma san Paolo: “Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29). Ma rimane la questione: come possiamo percorrere la strada della santità, rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma. Come può avvenire che il nostro modo di pensare e le nostre azioni diventino il pensare e l’agire con Cristo e di Cristo? Qual è l’anima della santità? Il Concilio Vaticano II ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. “Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui" (1Gv 4,16). Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Ma perché la carità, come un buon seme, cresca nell’anima e vi fruttifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e, con l'aiuto della grazia, compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all'Eucaristia e alla santa liturgia; applicarsi costantemente alla preghiera, all'abnegazione di se stesso, al servizio attivo dei fratelli e all'esercizio di ogni virtù. La carità infatti, vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr Col 3,14; Rm 13,10), dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Forse anche questo linguaggio del Concilio Vaticano II per noi è ancora un po' troppo solenne, forse dobbiamo dire le cose in modo ancora più semplice. Che cosa è essenziale? Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell'Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo letto con Cristo, che è semplicemente l'esplicitazione di che cosa sia carità in determinate situazioni.  Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di santità. Questa è la vera semplicità, grandezza e profondità della vita cristiana, dell'essere santi.
Ecco perché sant’Agostino, commentando il capitolo quarto della Prima Lettera di san Giovanni, può affermare una cosa coraggiosa: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”. E continua: “Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; vi sia in te la radice dell'amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene” (7,8: PL  35). Chi è guidato dall’amore, chi vive la carità pienamente è guidato da Dio, perché Dio è amore. Così vale questa parola grande: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”.
Forse potremmo chiederci: possiamo noi, con i nostri limiti, con la nostra debolezza, tendere così in alto? La Chiesa, durante l’Anno Liturgico, ci invita a fare memoria di una schiera di Santi, di coloro, cioè, che hanno vissuto pienamente la carità, hanno saputo amare e seguire Cristo nella loro vita quotidiana. Essi ci dicono che è possibile per tutti percorrere questa strada. In ogni epoca della storia della Chiesa, ad ogni latitudine della geografia del mondo, i Santi appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita, sono volti concreti di ogni popolo, lingua e nazione. E sono tipi molto diversi. In realtà devo dire che anche per la mia fede personale molti santi, non tutti, sono vere stelle nel firmamento della storia. E vorrei aggiungere che per me non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità.
Nella comunione dei Santi, canonizzati e non canonizzati, che la Chiesa vive grazie a Cristo in tutti i suoi membri, noi godiamo della loro presenza e della loro compagnia e coltiviamo la ferma speranza di poter imitare il loro cammino e condividere un giorno la stessa vita beata, la vita eterna.
Come è grande e bella, e anche semplice, la vocazione cristiana vista in questa luce! Tutti siamo chiamati alla santità: è la misura stessa della vita cristiana. Ancora una volta san Paolo lo esprime con grande intensità, quando scrive: “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo… Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,7.11-13). Vorrei invitare tutti ad aprirsi all’azione dello Spirito Santo, che trasforma la nostra vita, per essere anche noi come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia, perché il volto di Cristo splenda nella pienezza del suo fulgore. Non abbiamo paura di tendere verso l’alto, verso le altezze di Dio; non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, ma lasciamoci guidare in ogni azione quotidiana dalla sua Parola, anche se ci sentiamo poveri, inadeguati, peccatori: sarà Lui a trasformarci secondo il suo amore»[4].


NOTE

[1] Santo, Enciclopedia Treccani on line.

[2] Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II, Sono tutto nelle mani di Dio. Appunti personali 1962 - 2003, Libreria Editrice Vaticana,  2014, p. 28.

[3] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 14 febbraio 2001.

[4] Benedetto XVI, Udienza Generale, 13 aprile 2011.


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