venerdì 28 febbraio 2014

Giornata di preghiera per Benedetto, con Benedetto





Ad un anno dalla conclusione del pontificato di Benedetto XVI anche questo blog aderisce alla giornata di preghiera per e con Benedetto XVI.
Uniti nell'orazione - con la Santa Messa, la Liturgia delle Ore ed il Santo Rosario - ringraziamo per il dono del suo pontificato e invochiamo su di lui le benedizioni del Signore e la protezione di Maria Santissima!

Grazie, Benedetto!  

mercoledì 26 febbraio 2014

AMMALATI DI "PAPALISMO"? - i rischi della papolatria e del censurazionalismo -


In queste ultime settimane ho raccolto negli scaffali mentali - settore Papologia - una serie di  serie di "svariati svarioni" (passatemi il gioco di parole) dei non proprio soliti ignoti nel settore giornalistico, su quei due nomi che, da 12 mesi, riempono pagine e pagine di quotidiani e non solo: Benedetto e Francesco.



Mi sono presa un anno (mancano due soli giorni allo scoccare dei 365 giorni!) per riflettere, osservare, comprendere l'andamento della stampa ed in generale del cattolico medio.
Ammetto di avere ancora - almeno sull'ultimo punto - qualche difficoltà, ma leggendo oggi la chiara e netta risposta del Pontefice Emerito al giornalista Andrea Tornielli - pubblicata su La Stampa - fra le curve cerebrali mi è rimbalzato un termine, quasi come un identificativo di genere della situazione attuale: "PAPALISMO".
Un malanno che "spacca" in due i fedeli, facendone ora degli ammalati di "Franceschite" e ora di "Benedettite": non in quel senso buono che porta ad amare Francesco e Benedetto e rispetterli entrambi nella PRESENTE DIVERSITA' DEI RUOLI, con l'obbedienza dovuta all'attuale pontefice regnante, ma quella che ingenera fazionismi anche gravi, quasi a rasentare le derivazioni sedevantiste in alcuni casi.

Dicevo, dunque, di aver pensato alla parola "Papalismo", e il termine si è coniato nella mia mente come derivazione traslata di "populismo".
Il populismo è un movimento sorto nella Russia nella seconda metà del 1800, come "rappresentazione idealizzata del ‘popolo’ e un’esaltazione di quest’ultimo, come portatore di istanze e valori positivi, in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite". (Treccani)

Il Papalismo - malattia in realtà ben più vecchia rispetto al pontificato di Francesco e a quello di Benedetto prima - è una sorta di "deformazione professionale" che in linea di massima colpisce tutti (anche quelli che rimangono fuori dalla Chiesa), ma che assume toni altamente pericolosi quando attecchisce in ambiente cattolico.
Colpisce i fedeli (di ogni ceto, professione e stato) portandoli ad identificare in uno o nell'altro Pontefice la rottura con tutti gli altri pontificati e l'apporto di valori unici, essenziali, da difendere con assoluta devozione contro tutti (altri Papi inclusi!)
Insomma: ad un cambio di pastorale o di gusto liturgico, ciascuno sceglie di difendere il Papa che meglio si confà alle proprie "ideologie".
E' il male che affligge noi del XXI secolo con echi mediatici impressionanti, ma che rileggendo la storia dei pontificati si ritrova un po' anche "ai vecchi tempi", da Pio IX a Paolo VI, da Giovanni Paolo II ai giorni nostri.

E' proprio nell'approccio "personalistico" alla figura del Papa che si annida il "verme solitario", il germe della devianza da quella che potrebbe essere una normale - e salutare - ammirazione, riverenza, obbedienza verso i Pontefici: LA CONTRAPPOSIZIONE.

Partiamo dal preuspposto che il Papa, colui che è custode e "confermatore" della/nella fede può agire con modalità pastorali differenti, laddove il concetto di pastorale lo intendo in senso molto ampio, inclusivo dell'approccio personale, dello stile celebrativo, dello stampo catechetico, etc etc.

Il cattolico medio, da molti decenni a questa parte  - e dietro  lui anche molti giornalisti - ha reagito con scarsa maturità a queste "alternanze" di pastorali differenti, che pur fanno parte della ricchezza della Chiesa.
Ne sono così "integranti" che tornando al punto di partenza, a Gesù succede Pietro, al sapere massimo, l'ignoranza di un pescatore...e nel susseguirsi del tempo si arriva a Clemente, quarto Vicario di Cristo, esperto conoscitore delle Scritture e dei testi ebraici non canonici.
Insomma, la storia bimillenaria della Chiesa insegna non solo che Dio non fa un santo uguale ad un altro, ma che non fa neanche un Papa identico ad un altro.
Ciascuno con il suo personale apporto, ciascuno con il proprio stile personale, pur sempre fondato sul deposito della Fede che è uno solo, forti di quella certezza che a Pietro vengono affidate le chiavi del Regno dei Cieli per legare e sciogliere e che le potenze infernali non avranno la meglio sulla Chiesa.

Da qui la necessità, per noi cattolici, di assumere un atteggiamento "adulto": il papa non si elegge con un plebiscito popolare, nè per forza di cose deve essere rispondente alle"preferenze" liturgiche, letterarie, filosofiche o teologiche, al sentimentalismo affettivo, o alle opzioni pastorali in senso stretto dei singoli fedeli.

Il beato Pio IX e don Bosco
Il cattolico adulto fa proprio l'atteggiamento di Don Bosco, che consapevole di questi "rischi", della possibile deviazione da una normale inclinazione - di gusto, di affettività - verso un papa o l'altro, diceva ai suoi ragazzi: "Non gridate viva Pio IX, gridate viva il Papa"!
Il motivo era semplice: rendere omaggio al Papa non nella sua umana persona (o non solo in essa), ma in quanto Vicario di Cristo.
Da fine scrutatore e conoscitore degli animi, il santo piemontese aveva colto il pericolo di un'arma a doppio taglio: l'eccessiva "papolatria" come forma di "idolatria" in cui si centri tutto sul versante "antropomorfico", umano, scindendolo dalla "dignità" speciale di cui il Pontefice viene investito;
la denigrazione - che assume i connotati di censurazionalismo o finanche dell'eretica demonizzazione - nel caso in cui pesanti critiche si addensassino attorno alla sua figura, dimenticando il "dovere" di ogni buon cattolico, di essere fedele al Papa.

In sostanza, quello che don Bosco voleva evitare, era la perniciosa concentrazione "solo" sul piano umano, sia nell'una che nell'altra forma di devianza.
Il "pericolo" sotteso a queste prassi educative di don Bosco non era questione di teoria pedagogica: il santo lo osservò con i propri occhi, esattamente durante il regno di Pio IX, accusato pesantemente (ma scagionato a ben donde dalla storia "laica" e beatificato dalla Chiesa!) anche da fazioni cattoliche (e finanche su questioni di capitale importanza religiosa-spirituale, come il Sillabo!)


Tutta la vita di don Bosco è stata dimostrazione coerentissima di questa sua "pedagogia papale" insegnata ai ragazzi: collaborazione instancabile con tutti i Pontefici succedutisi al soglio di Pietro durante la sua vita (in questioni anche molto delicate, come le nomine dei Vescovi) e obbedienza cieca, tanto da poter dire: "Ogni desiderio del Papa, per me, è un ordine".

E' una pedagogia che dovremmo "ripescare", ruminare, applicare. 
Dopo duecento anni da don Bosco, dopo duemila dalla nascita della Chiesa e del Papato.

Solo in quest'ottica di fedeltà al Papa è possibile evitare di scantonare nell'idolatria e nella demonizzazione, devianze che fanno dimenticare che la Chiesa è di Cristo e che dunque essa viene guidata nella successione dei vari Pontefici.
La Chiesa non finisce o non inizia con un papa o con l'altro: la Chiesa cammina, va avanti, nella continuità storica.
Idolatrare o demonizzare implicano sottrarre a Cristo ciò che è di Cristo: la Sua Chiesa, quella Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e Romana, di cui noi siamo membra vive!

lunedì 24 febbraio 2014

Q!UANDO CREDERE E' PREGARE E PREGARE E' CREDERE - riflessioni a margine del Vangelo di oggi


"... dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. 
Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». 
Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». 
E glielo portarono. 

Gesù interrogò il padre
Ed egli rispose: «Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». 
Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». 
Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». 

Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». 
Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».
  

(Mc 9, 17-19; 21-24; 23-29) 


Il Vangelo di oggi ha molte risonanze bibliche, in perfetta consonanza con la lettera di San Giacomo che la Liturgia ci presenta come prima Lettura, già dalla scorsa settimana.
In un certo senso i miracoli di Gesù che  il Vangelo di Marco ci propone, si snodano come fossero un itinerario di fede e la lettera di Giacomo aiuta a far luce su questo aspetto.
Lunedì scorso, leggevamo in essa le "condizioni per chiedere": "con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare. 
Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore". (Gc 1,6))
Dio chiede spazio in noi per poter operare i Suoi miracoli.

Mercoledì scorso il Vangelo (Mc 8,22-26) ci ha presentato la guarigione "in due tempi" del cieco  di Betsaida: non ci troviamo di fronte alla parola "fede", ma la si può leggere come sottofondo di tutto il brano.
Perché Gesù spezza la guarigione in due momenti?
Perché interpella il cieco?
La domanda "Vedi qualcosa"? che il Maestro gli rivolge dopo la prima "tappa", la potremmo riscrivere in : "Cosa vedi, in base alla tua fede"?
Perché se oggi Gesù dice al padre del bimbo indemoniato: otterrai in base alla tua fede, allora - applicando lo stesso metro alle altre guarigioni - anche il cieco ottiene in base a quanto ha creduto.
Evidentemente, almeno all'inizio,il cieco ha ottenuto poco, perché poco ha chiesto, perché poco ha creduto.
E' qui che però avviene lo straordinario: Gesù gli dà un'altra occasione.
Quella domanda e quella risposta sono il punto di partenza per la seconda fase del miracolo, che si conclude con la piena guarigione.
Dio non si stanca, direbbe Papa Francesco.
Dio ci invoglia a credere sempre e sempre di più.
In un certo senso la prima parte del miracolo è propedeutica ad un incremento di fede, affinché anche la vista torni totale, completa, definitiva.

Allo stesso modo, oggi, seppure con sfumature diverse, si ripresenta la stessa dualità, la doppia fase nell'interazione fra Gesù e colui che chiede il Suo intervento.

Il padre del bimbo si rivolge a Cristo.
La sua fede inizialmente è tentennante: "Se tu PUOI". Quasi come se a Dio si potessero mettere dei paletti, dei limiti, delle mancanze.
E qui Gesù parla espressamente, senza mezzi termini, in un rimbalzo di "responsabilità": "Se tu puoi. Tutto è possibile per chi crede".
Siamo davanti a due ...onnipotenze: quella increata e assoluta di Dio, quella "relativa" e derivata dell'uomo, che può tutto nella fede.
Non è eresia, questa, perchè nel Vangelo si parla del granello di Fede che smuove le montagne (cft Lc 17,6), ma questo implica, come sottolinea sempre San Giacomo, essere non solo "ascoltatori" della Parola, ma anche coloro che "la mettono in pratica", attraverso le opere. (cfr Gc 1,19-27).

C'è un filo rosso tra Fede, Opere e ... Preghiera.
La preghiera è l'ultimo elemento che balza oggi nel Vangelo, in  apparente contraddizione con tutto il resto del brano.

Gesù sembra dare due risposte differenti alla "difficoltà" di guarire il bimbo indemoniato, sperimentata dai discepoli.
Al padre dice: dipende dalla tua fede.
Ai discepoli: dipende dalla preghiera incessante.
A tutti: dipende dal "mettere in pratica".
Questa è la chiave di lettura che collega e unifica le varie risposte.

Mettere in pratica la Parola in relazione a fede e credere. Come è possibile?
Osservando e "imitando" lo stile di preghiera di Gesù: una preghiera incessante, che avviene con cadenze e momenti specialmente ad essa dedicati (il Maestro si ritirava a pregare al mattino e alla sera), e rimettendosi sempre e comunque alla volontà di Dio.
Questa è fede in massima misura, sul modello di Cristo che, nell'orto degli Ulivi, ha così tanta "fiducia" nell'Onnipotenza di Dio da dirgli: Se c'è una strada differente, passi da me il Calice della Passione, ma sia fatta la Tua volontà...non la mia.

Qui c'è la differenza tra la nostra fede e quella che possiedono finanche i demoni.
Dice infatti San Giacomo:
"Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano"! (Gc 2,19)
E' solo il passaggio dalla fede alle opere della fede che fa la differenza.
E' solo il passaggio dal credere in Dio al credere in un Dio buono, ma giusto, che ci lascia liberi, che desidera il nostro bene...che fa la differenza.
Credere nell'esistenza di Dio è una cosa;
credere in Dio e fare ciò che chi chiede è altro;
credere in Dio e fidarsi ciecamente di Lui è altro ancora: è la preghiera più elevata, senza tentennamenti, con la solidità dell'uomo che ha costruito la casa sulla roccia (cfr Mt 7,24).
E così torniamo al punto di partenza, a San Giacomo che ci esorta: chiedere con fede, senza esitare.

In questa "ideale" chiusura di un cerchio di pensieri e riflessioni bibliche è quasi doveroso, allora, accennare a quella che è  - per noi cattolici - la massima fusione tra pregare e credere: IL CREDO, la professione di fede.
Scriveva Benedetto XVI, nel Motu Proprio Porta Fidei -n.9-10 : "Auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità.
Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo.
Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l'impegno assunto con il Battesimo.
Esiste un'unità profonda tra l'atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso.
L'apostolo Paolo permette di entrare all'interno di questa realtà quando scrive: Con il cuore si crede e con la bocca si fa la professione di fede. (Rm 10,10.)