lunedì 30 settembre 2013

DA RICCO CHE ERA...SI E' FATTO POVERO!


Rifletto sulla Parola di ieri (Lc 16,19-31): il ricco epulone e Lazzaro il povero.



Il ricco che non ha mai voluto dare niente ai poveri e il povero che si ritrova, adesso, a possedere una ricchezza maggiore di tutti i beni di cui, in terra, poteva godere l'anonimo di questa pagina del Vangelo.

Nell'omelia domenicale mi ha colpito un passaggio sottolineato dal mio parroco: "potremmo chiamare il ricco epulone, il povero epulone".

A quel punto, la mia mente è andata ad un'altra pagina di Vangelo, quella in cui si legge :

"Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: 
da ricco che era, si è fatto povero per voi,
 perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà".  
(2 Cor, 8-9)


Ci sono modi diversi di farsi "poveri".
L'epuilone ha scelto quello sbagliato.
Ha preferito le ricchezze in terra, perdendo quelle dei Cieli.
Ha creduto che fosse più redditizio "svendere" il bene più prezioso (la sua anima), per godere solo con il corpo, da vivo.
Ha scelto di abbandonare l'unico vero bene (Dio!) per scegliere i molti beni tterreni che non soddisfano nessun reale bisogno dell'uomo, ma appagano solo un senso fugace di consumismo, un piacere momentaneo o istinti di generi diversi.

..."e da ricco che era si fece povero", potremmo allora dire dell'epulone.
Non nella maniera in cui mostra Gesù: Cristo Si dona, Si offre per l'altro, rinuncia a manifestare alla maniera "umana" la Propria Regalità, per donare al'umanità il Suo Cuore trafitto sulla Croce;
rinuncia a vivere fra ricchezze materiali per condividere i disagi di ogni uomo povero;
accantona i Suoi privilegi di Signore del Cielo e della Terra, per passare i Suoi giorni come un bambino qualunque, che cresce sottomesso ai genitori; come un adolescete qualunque che impara a lavorare; finanche come un "malfattore" qualunque che viene sottoposto alla pena più infamante di tutte: la Crocifissione.

Questo è il modo di "farsi povero" scelto da Dio ed è la modalità che viene indicata anche a chi vuole seguirLo.
Farsi poveri per gli altri, imitanto lo stile di Cristo vuol dire non tanto e non solo rinunciare alla ricchezza materiale, ma saperla condividere con gli altri, per allieviarne i disagi, le sofferenze, per colmarne i bisogni.
Se il ricco epulone avesse "condiviso"  il proprio pane con Lazzaro, forse ora non si ritroverebbe nella parte "peggiore" dell'aldilà.
Avrebbe in un certo senso trovato, proprio in Lazzaro, un difensore.
La parabola del ricco epulone, non a caso, viene riportata in Luca dopo quella dell'amministratore disonesto (Lc 16, 1-9), la cui conclusione la rileggo spesso in questo senso: se l'uomo, pur peccatore, riesce a "perdonare" l'altro, a condonargli dei debiti -ad un altro uomo che è peccatore al suo pari! e quindi debitore verso Dio-, il Signore di certo giudicherà con misericordia, perché chi avrà ricevuto dall'altro, ne sarà un po' difensore, nel Regno dei cieli!

Il problema non è la "ricchezza", ma l'attaccamento del cuore.
Lo ripete spesso il salmista (sal 62,11) e Gesù lo dice nel Vangelo, invitando a scegliere un solo padrone da servire: o Dio o mammona (Lc 16,13).

La povertà del ricco non è solo condivisione di beni materiali, ma anche e soprattutto condivisione del cuore: capacità di "chinarsi" sulle necessità interiori, psicologiche, morali dell'altro.

Papa Francesco ci esorta moltissimo ((Veglia di pentecoste), da questo punto di vista: il dare in sè stesso può rimanere una tto materiale. 
Occorre aggiungere qualcosa di più, un sorriso, una parola, un contatto fisico.
Potrei anche non avere beni materiali da condividere con i miei fratelli, ma se mi rendessi in grado di offrire una parola di conforto, cinque minuti del mio tempo, un abbraccio, avrei vissuto in pieno quello spogliamento del Cristo che sa "COMPATIRE" ogni dolore dell'uomo.

Dice il Papa:

“Ma, lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”. 
 Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?”. 
Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. 

Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. 
E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione.
Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile.
 
Il Papa, nello specifico, parla di poveri in senso stretto, ma quante "povertà" umane esistono?
Ogni solitudine, ogni abbandono, ogni perdita nell'uomo può essere una povertà.
Allora possiamo vivere queste parole in riferimento a moltissime situazioni: da quella della mamma "impoverita" da un figlio sbandato, a quella di un ammalato impoverito per la perdita della salute; da quella di chi è povero di amicizie, a quella di chi è povero di fede...

Con tutti possiamo farci "ricchi capaci di donare", in maniera tale che il nostro dare non sia un impoverirci in senso stretto, ma solo figurato.
Perché nella vera donazione di sé stessi si sviluppa la ricchezza più bella: 

 "Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio"
(Lc 6,20)

 
 

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