domenica 21 luglio 2013

LA "RICOMPENSA" DI DIO PER CHI ACCOGLIE DIO!




Qualche giorno fa (il 15 luglio, memoria di S. Bonaventura), la Liturgia della Parola ci ha proposto un brano matteano (Mt 10,34-11,1), all'interno del quale si legge:

"Chi accoglie un profeta perché è un profeta,
 avrà la ricompensa del profeta,
 e chi accoglie un giusto perché è un giusto, 
avrà la ricompensa del giusto" 

 (Mt 10, 41) 


Il giusto per eccellenza è Gesù di Nazareth, il Figlio Unigenito, il Senza Peccato che decide -volontariamente- di assumere su di Sé i peccati dell'umanità per offrirci la salvezza eterna.

Oserei allora "aggiungere" alle parole di Matteo, questa frase:
"Chi accoglie Dio perché è Dio, avrà la ricompensa di Dio"!

Gesù stesso, dice infatti:
 
"Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato".
 (Mt 10,40)

Accogliere Gesù non è semplicemente accogliere un "profeta" (e qui riecheggia quella domanda che il Maestro stesso rivolge ai Suoi in Mc 8,27: "La gente chi dice che io sia"?), ma non è neanche soltanto accogliere un giusto (perché, dice San Paolo in Rm 5,7 "Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto")

Molti potrebbero accogliere un profeta ed un giusto, riconoscerne la bontà, i meriti...ma accogliere Dio vuol dire di più: implica un mettersi in gioco di tutta la persona!

Accogliere il profeta o il giusto possono essere forme di benevolenza o altruismo limitate, o che non tangono l'intimo della persona, accogliere Dio vuol dire invece allargare lo sguardo, estenderlo oltre me e l'altro, fino agli "altri" che riconosco immagine e somiglianza del "Totalmente Altro".
Vuol dire non solo "ascoltare" la novella del profeta o giustificare il giusto, ma "assumere" nalla propria vita la parola profetica ed essere disposti a sacrificarsi per l'altro, per la Verità!

Gesù, sempre in Matteo, afferma:
 "Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa»". (Mt 10,42)

Le parole di Cristo mi piace intenderle, nella mia riflessione, come un monito molto più vasto che ad accogliere solo i "discepoli"! 
Le potremmo ruminare -per via analogica- come un riflesso di quell' "amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi" (cft Gv 15,12).

Riconoscere che Gesù di Nazareth è molto più che un profeta, molto più che un giusto a livello semplicemente di categorie umane vuol dire allora essere capaci di "abbracciare" non solo Colui che direttamente "ricevo" nella mia vita di cattolica, come Dio, ma vivere giorno per giorno la realtà di quell' amore, di quel "bene" che "è diffusivo per natura" (S. Tommaso, Somma teologica)!

Il TU di Dio mi apre al tu potenzialmente infinito di ogni uomo: dal familiare al vicino di casa, dall'amico al collega di lavoro, dal conoscente all'estraneo.
Tutti devo amare con l'amore di Dio, declinato nelle sue varie sfumature in base ai vincoli che mi legano più o meno alle varie persone che incontro.

E' un programma indubbiamente impegnativo, perché spinge fino al "donarsi completamente", come Dio Si è donato a noi:

"Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà". 
 (Mr 10,39)

"Perdere" la vita, nella donazione d'amore, non è sempre o soltanto il "morire" fisicamente per l'altro.
E' piuttosto un seguire l'invito di Gesù a prendere ogni giorno la croce e seguirLo, quando amare il tu -immagine visibile del Tu- mi porti a rinunciare a qualcosa di me stesso: alla vanità, all'orgoglio, ad un bene materiale, ad una qualche forma di egoismo, al tempo.

Se però è "alto" il compito, altrettanto alta è la ricompensa.

Scrive Papa Franceso, nell'enciclica Lumen Fidei:


Quale altra ricompensa potrebbe offrire Dio a coloro che lo cercano, se non lasciarsi incontrare? (Lumen Fidei, n.35)

Qual è questa "ricompensa" di Dio, allora?

Ce lo dice il Salmo 8,6. sentenziando che pur essendo l'uomo niente, davanti al Creatore, proprio Lui l'ha "fatto poco meno degli angeli", capace di esserne "immagine e somiglianza", predisposto per la vita divina in cui anche la nostra carne umana sarà resa immortale; questa "vita divina" che abita in noi, "Tempio dello Spirito Santo" nei nostri corpi già sulla terra  (1 Cor 16,9) ci rende possibile gustare anche ora qualcosa della Bellezza ineffabile di Dio e dell'amore fra i santi, ma la ricompensa più grande è per il "dopo", una volta compiuto il salto che sepera questo mondo dall'altro.



 "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,né mai entrarono in cuore di uomo,Dio le ha preparate per coloro che lo amano".  

(1 Cor 2,9)

Non lasciamoci scoraggiare dalla difficoltà dell'amore: Dio prepara grandi cose per chi si getta in Lui con fiducia e animato da buona volontà. 

"Il Signore è vicino a quanti lo invocano,
a quanti lo cercano con cuore sincero"

(Sal 145,18)

Impariamo da Gesù, profeta, giusto, Dio Nostro Salvatore, ad amare con quella "scienza della carezze"  (Papa Francesco, omelia a Santa Marta 7 giugno 2013) chesi fonda su due pilastri: la vicinanza e la tenerezza:
 
"Gesù ci ha amato non con le parole ma con le opere, con la sua vita. 
E ci ha dato, ci ha donato senza ricevere niente da noi.
 Questi due criteri sono come i pilastri del vero amore: le opere e il darsi".

In questo anno della Fede, rammentiamo a noi stessi, ancora una volta di più, che senza opere la nostra è una fede morta (cfr Gc 2,26), perché a nulla giovano anche i carismi più grandi, senza la carità (1 Cor 13,1-13).
La ricompensa che Dio ci promette, dandoci Suo Figlio come pegno della Sua Alleanza con noi, ci apre ad una speranza grande, ma richiede il nostro impegno!

D'altronde, Benedetto XVI, aprendo il "trittico" delle encicliche sulle tre virtù teologali (che si è concluso ora con la Lumen Fidei) ha tracciato bene questo percorso in cui Fede, Speranza e Carità si intrecciano.
Vi lascio queste parole che sono come un monito, ma che vanno viste con lo sguardo pieno di gioia del cristiano, di colui che sa che Dio vince! 


"Fede, speranza e carità vanno insieme.
 La speranza si articola praticamente nella virtù della pazienza, che non vien meno nel bene neanche di fronte all'apparente insuccesso, ed in quella dell'umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell'oscurità. 

La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! 
In questo modo essa trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità Egli vince, come mediante le sue immagini sconvolgenti alla fine l'Apocalisse mostra in modo radioso. 

La fede, che prende coscienza dell'amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l'amore. 
Esso è la luce — in fondo l'unica — che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. 

L'amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. 
Vivere l'amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo".

(Benedetto XVI-Deus Caritas est, n.39

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