domenica 21 luglio 2013

LA "RICOMPENSA" DI DIO PER CHI ACCOGLIE DIO!




Qualche giorno fa (il 15 luglio, memoria di S. Bonaventura), la Liturgia della Parola ci ha proposto un brano matteano (Mt 10,34-11,1), all'interno del quale si legge:

"Chi accoglie un profeta perché è un profeta,
 avrà la ricompensa del profeta,
 e chi accoglie un giusto perché è un giusto, 
avrà la ricompensa del giusto" 

 (Mt 10, 41) 


Il giusto per eccellenza è Gesù di Nazareth, il Figlio Unigenito, il Senza Peccato che decide -volontariamente- di assumere su di Sé i peccati dell'umanità per offrirci la salvezza eterna.

Oserei allora "aggiungere" alle parole di Matteo, questa frase:
"Chi accoglie Dio perché è Dio, avrà la ricompensa di Dio"!

Gesù stesso, dice infatti:
 
"Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato".
 (Mt 10,40)

Accogliere Gesù non è semplicemente accogliere un "profeta" (e qui riecheggia quella domanda che il Maestro stesso rivolge ai Suoi in Mc 8,27: "La gente chi dice che io sia"?), ma non è neanche soltanto accogliere un giusto (perché, dice San Paolo in Rm 5,7 "Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto")

Molti potrebbero accogliere un profeta ed un giusto, riconoscerne la bontà, i meriti...ma accogliere Dio vuol dire di più: implica un mettersi in gioco di tutta la persona!

Accogliere il profeta o il giusto possono essere forme di benevolenza o altruismo limitate, o che non tangono l'intimo della persona, accogliere Dio vuol dire invece allargare lo sguardo, estenderlo oltre me e l'altro, fino agli "altri" che riconosco immagine e somiglianza del "Totalmente Altro".
Vuol dire non solo "ascoltare" la novella del profeta o giustificare il giusto, ma "assumere" nalla propria vita la parola profetica ed essere disposti a sacrificarsi per l'altro, per la Verità!

Gesù, sempre in Matteo, afferma:
 "Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa»". (Mt 10,42)

Le parole di Cristo mi piace intenderle, nella mia riflessione, come un monito molto più vasto che ad accogliere solo i "discepoli"! 
Le potremmo ruminare -per via analogica- come un riflesso di quell' "amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi" (cft Gv 15,12).

Riconoscere che Gesù di Nazareth è molto più che un profeta, molto più che un giusto a livello semplicemente di categorie umane vuol dire allora essere capaci di "abbracciare" non solo Colui che direttamente "ricevo" nella mia vita di cattolica, come Dio, ma vivere giorno per giorno la realtà di quell' amore, di quel "bene" che "è diffusivo per natura" (S. Tommaso, Somma teologica)!

Il TU di Dio mi apre al tu potenzialmente infinito di ogni uomo: dal familiare al vicino di casa, dall'amico al collega di lavoro, dal conoscente all'estraneo.
Tutti devo amare con l'amore di Dio, declinato nelle sue varie sfumature in base ai vincoli che mi legano più o meno alle varie persone che incontro.

E' un programma indubbiamente impegnativo, perché spinge fino al "donarsi completamente", come Dio Si è donato a noi:

"Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà". 
 (Mr 10,39)

"Perdere" la vita, nella donazione d'amore, non è sempre o soltanto il "morire" fisicamente per l'altro.
E' piuttosto un seguire l'invito di Gesù a prendere ogni giorno la croce e seguirLo, quando amare il tu -immagine visibile del Tu- mi porti a rinunciare a qualcosa di me stesso: alla vanità, all'orgoglio, ad un bene materiale, ad una qualche forma di egoismo, al tempo.

Se però è "alto" il compito, altrettanto alta è la ricompensa.

Scrive Papa Franceso, nell'enciclica Lumen Fidei:


Quale altra ricompensa potrebbe offrire Dio a coloro che lo cercano, se non lasciarsi incontrare? (Lumen Fidei, n.35)

Qual è questa "ricompensa" di Dio, allora?

Ce lo dice il Salmo 8,6. sentenziando che pur essendo l'uomo niente, davanti al Creatore, proprio Lui l'ha "fatto poco meno degli angeli", capace di esserne "immagine e somiglianza", predisposto per la vita divina in cui anche la nostra carne umana sarà resa immortale; questa "vita divina" che abita in noi, "Tempio dello Spirito Santo" nei nostri corpi già sulla terra  (1 Cor 16,9) ci rende possibile gustare anche ora qualcosa della Bellezza ineffabile di Dio e dell'amore fra i santi, ma la ricompensa più grande è per il "dopo", una volta compiuto il salto che sepera questo mondo dall'altro.



 "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,né mai entrarono in cuore di uomo,Dio le ha preparate per coloro che lo amano".  

(1 Cor 2,9)

Non lasciamoci scoraggiare dalla difficoltà dell'amore: Dio prepara grandi cose per chi si getta in Lui con fiducia e animato da buona volontà. 

"Il Signore è vicino a quanti lo invocano,
a quanti lo cercano con cuore sincero"

(Sal 145,18)

Impariamo da Gesù, profeta, giusto, Dio Nostro Salvatore, ad amare con quella "scienza della carezze"  (Papa Francesco, omelia a Santa Marta 7 giugno 2013) chesi fonda su due pilastri: la vicinanza e la tenerezza:
 
"Gesù ci ha amato non con le parole ma con le opere, con la sua vita. 
E ci ha dato, ci ha donato senza ricevere niente da noi.
 Questi due criteri sono come i pilastri del vero amore: le opere e il darsi".

In questo anno della Fede, rammentiamo a noi stessi, ancora una volta di più, che senza opere la nostra è una fede morta (cfr Gc 2,26), perché a nulla giovano anche i carismi più grandi, senza la carità (1 Cor 13,1-13).
La ricompensa che Dio ci promette, dandoci Suo Figlio come pegno della Sua Alleanza con noi, ci apre ad una speranza grande, ma richiede il nostro impegno!

D'altronde, Benedetto XVI, aprendo il "trittico" delle encicliche sulle tre virtù teologali (che si è concluso ora con la Lumen Fidei) ha tracciato bene questo percorso in cui Fede, Speranza e Carità si intrecciano.
Vi lascio queste parole che sono come un monito, ma che vanno viste con lo sguardo pieno di gioia del cristiano, di colui che sa che Dio vince! 


"Fede, speranza e carità vanno insieme.
 La speranza si articola praticamente nella virtù della pazienza, che non vien meno nel bene neanche di fronte all'apparente insuccesso, ed in quella dell'umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell'oscurità. 

La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! 
In questo modo essa trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità Egli vince, come mediante le sue immagini sconvolgenti alla fine l'Apocalisse mostra in modo radioso. 

La fede, che prende coscienza dell'amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l'amore. 
Esso è la luce — in fondo l'unica — che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. 

L'amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. 
Vivere l'amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo".

(Benedetto XVI-Deus Caritas est, n.39

giovedì 18 luglio 2013

PORTA DEL CIELO O ANCHE "CHIAVE"? Maria nella contemplazione della Vita Trinitaria



Chiave e porta del paradiso prega per noi...

(dalle litanie carmelitane alla Vergine Maria)



Nelle litanie lauretanee invochiamo Maria semplicemente come "Juana Coeli" -porta del Cielo-, ma la Vergine non è soltanto "porta", ma anche "chiave" di accesso al Paradiso.




L'insegnamento dei santi va in questa direzione: san Luigi Grignon de Montfort afferma che "tutte le grazie passano per Maria", San Bernardo sottolinea come "tutti ci salviamo per intercessione di Maria" , la quale è "mediatrice e dispensatrice di ogni grazia" (un vero "canale, acquedotto di grazie"!).

Tutte le grazie, tanto quelle di ordine materiale quanto quelle spirituali (compresa la nostra eterna salvezza)-  per DISPOSIZIONE STESSA DI DIO, ci vengono dunque elargite dalle mani di Maria Vergine.

Andare a Maria, farsi guidare da lei (che lo sappiamo o meno), non è quindi solo trovare la "porta" che ci conduce a Dio, ma anche la "chiave di accesso" per la vita eterna e per ogni grazia.

Queste considerazioni possono portarci ad un parallelo con il ruolo di Maria "chiave" e non solo porta anche nella vita contemplativa, in particolar modo nella penetrazione nel mistero della Vita Trinitaria.

Maria è stata resa "onnipotente per Grazia" ed è entrata -più di chiunque altro- nella Santissima Trinità, con il ruolo di Figlia di Dio Padre, Sposa dello Spirito Santo, Madre dell'Unigenito Salvatore del mondo.

La Madonna è come una "padrona di casa" che è stata messa a parte dei segreti della Famiglia divina, potendo avere accesso a tutta la "Casa" che è la stessa Vita Trinitaria.

Maria è quindi la creatura più contemplativa di tutte, colei che ha "visto" più cose della Santa Trinità.

San Francesco Antonio Fasani diceva che "la Madonna è contemplativa per natura, con la mente è con il cuore sempre assorbiti nella Santissima Trinità, anche quando era attiva, perché l'Immacolata.
Perciò l'Immacolata si può chiamare primo teologo della Santissima Trinità.
Ella è il più grande segno che conduce a Lui" 
("La vita contemplativo-attiva di San Massimiliano Maria Kolbe"- "Immacolata Mediatrix" n2. 2011) 

Quando nella contemplazione si "afferra" parte del mistero divino, avviene quello che Matteo descrive al capitolo 13,51

"ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche".

Cose antiche, perché Dio è da sempre e per sempre Immutabile, cose nuove perché ogni luce di contemplazione è per la creatura un nuovo spiraglio sul mistero della Trinità.

Maria è per eccellenza la "padrona di casa", entrata nella Famiglia Trinitaria come Figlia, Sposa e Madre (non resa divina, ma onnipotente per Grazia!), e questo mette nelle sue mani un "potere" particolare, quello di dispensare le grazie contemplative, di far "entrare in casa", illustrando i segreti di Dio.

Pensare al ruolo di Maria nella contemplazione può forse sembrare strano, ma aiuta a calarsi in una realtà stupenda: la preghiera contemplativa non è solo un "faccia a faccia con Dio", ma è un penetrare sempre più profondamente in quel mistero Uomo-Creatura che ha visto e vede coinvolta la Madre Santissima in modo sublime ed unico.

Lasciamoci allora prendere da Maria, per mano, come ospiti che vogliono entrare in casa del più grande Re, e facciamoci attenti alla voce dolce di questa Mamma che desidera che i suoi figli conoscano e amino di più il Dio Uno e Trino.
Maria è la CHIAVE CHE CI CONSENTE DI ACCEDERE AL MISTERO DEL "CUORE DI DIO"!
 
Che la Vergine ci renda capaci di questa umiltà: affidarci alle sue cure di Maestra, per addentrarci sempre più nell'Infinito Amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. 

sabato 13 luglio 2013

SENTIRSI AMATI..... riflessioni sull'Amore Eterno del Dio Trinità


 "Sentirsi amati da Dio,
 sentire che per Lui noi siamo non numeri, 
ma persone"






Pensare all'Amore di Dio verso ciascuna delle Sue creature non dovrebbe essere un mero esercizio di "teoria teologica": la teologia ci insegna che Dio è Amore, la stessa Bibbia ce lo dice espressamente (1Gv 4,8; 1Gv 4,16), ma da questo "sapere" teorico dovremmo passare ad una conoscenza "sperimentata" per essere in grado di amare tutti come Lui ci ha amati (cfr Gv 13,34).

Dio ci ama, eternamente, immensamente, infinitamente perché Dio è Amore infinito ed eterno.
Non è un elemento di pura scienza teologica, bensì un dato di fatto reale, che constatiamo -se davvero vogliamo farne la prova- ad ogni istante di vita, attraverso tutto quello che ci circonda.

Siamo vivi, respiriamo, abbiamo luce, calore, acqua....affetti, sentimenti, ragione.
Tutto questo (e molto di più!) è un segno concreto di questo Amore divino nei nostri confronti.

Padre Christian (che gli amici del blog conoscono già) soleva dirmi: "Se sapessimo quanto Dio ci ama, non ci preoccuperemmo di nulla"!

SE SAPESSIMO...io lo traduco in "SE COMPRENDESSIMO"! 
Saperlo, in un certo modo, è dato corrente fra molti cattolici, comprenderlo, percepirlo come realtà viva in noi, purtroppo non fra tutti, o non almeno in maniera costante.


Se davanti ai problemi, alle difficoltà, e anche nelle gioie, ci fermassimo a riflettere su questo AMORE DI DIO riusciremmo a percepire in un modo differente lo stesso corso della nostra storia personale e daremmo un senso diverso anche a quella collettiva!

La storia si trasfomerebbe,infatti, in un continuo ABBRACCIO di UN DIO UNO E TRINO che in ogni frazione incalcolabile di tempo si prende cura di me, di te, di tutte le creature della terra.

Giorni fa, in treno, ho provato a fare un piccolo "esercizio": mentre il paesaggio scorreva fuori dal finestrino ho immaginato di poter arrestare i secondi e percepire, in quel movimento di panorama, il fluire continuo dell'Amore Infinito di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito verso di me.
I secondi divenivano allora un ciclo continuo di amore riversato su di me, un flusso inarrestabile, in cui, paradossalmente, svuotando il pensiero di tutto per riempirlo solo di Lui, il tempo si "frazionava" in porzioni sempre più piccole (e sempre più piene di Amore!) e contemporaneamente si "dilatava" in un'espansione, in una pienezza senza limiti.

E' un dato scientifico: se una cosa la si "frammenta" in parti sempre più minute, in un certo senso è come se la si facesse diventare più grande; un qualsiasi elemento che ci appare di dimensioni modeste, considerato nella sua natura "reale", ma non visibile, di riducibile in particelle sempre più piccole, diverebbe molto più grande di quello che appare ai nostri occhi!

Allora, provare ad esercitarsi sul tempo sentendolo come un abbraccio di Amore è come afferrare, per un attimo fuggente, l'idea, il sapore dell'Eternità.

Dio ci ama così, di un Amore che rompe le barriere del tempo, che crea -connaturalmente a Sè stesso-  l' ETERNITA'.

L'amore diventa così "riempitivo" di tutto il tempo fino a frazioni di secondo per noi incalcolabili umanamente, tali  da sfuggire al controllo di ogni orologio: l'Amore è dirompente e fa sì che l'infinitamente piccolo (il nanosecondo) diventi così pieno da essere infinito...a-temporale, a-spaziale.
Il minuscolo si dilata e dona la novità sempre attuale dell'Amore instancabile della Santa Trinità.

Un Amore che è sempre identico in Sè, essendo Dio Somma Perfezione: un Amore che non crea sbalzi nel susseguirsi del tempo e dell'Eternità, come fa il filo che trasporta la corrente elettrica, a volte soggetta a sbalzi di tensione.
No, l'Amore di Dio è sempre identico, sempre totalmente, esclusivamente assoluto nei confronti di ogni essere umano.

Che bello, affrontare allora gli istanti con questa consapevolezza: Dio mi ama in questo modo UNICO, SENZA LIMITE, SENZA MISURA in ogni minuscola frazione del tempo della mia vita, ad ogni mio respiro, in ogni mio momento di gioia o di dolore.

Davvero, capire questa straordnaria esperienza della "follia d'amore" di un Dio per la Sua Creatura stravolge ogni schema umano di priorità: Dio -che è il nostro TUTTO- non smette MAI di riempirci di Tutto Sè Stesso, cioè di AMORE.

Di che altro abbiamo bisogno? Lui VEDE TUTTO, SA TUTTO, PROVVEDE A TUTTO!
L'Amore vero si cura dell'amato, anche quando le apparenze esterne, i fallimenti, le delusioni umane, gli insuccessi materiali sembrano far credere il contrario.


Benedetto XVI, così scive, nell'Enclica DEUS CARITAS EST,:



"La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: 

Dio è amore!

In questo modo essa trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità Egli vince, come mediante le sue immagini sconvolgenti alla fine dell'Apocalisse" 


(Deus Caritas est, n.39) 


Entriamo in questa meravigliosa spirale di Amore:  Colui che per primo ci ha amati (1 Gv 4,19) non cessa mai di inondarci di amore. 

RicambiamoLo e sentiamoci fortunati di essere stati elevati da Lui a tanto privilegio: essere la gioia di un Dio che non avrebbe bisogno di niente e di nessuno, fuorché di Sè Stesso e della Sua Vita di Amore Trinitaria, ma che HA VOLUTO creare l'uomo per amore e per AMARLO!

 Maria Santissima, che nella Trinità è Figlia, Sposa e Madre ci aiuti in questo cammino di amore verso il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

giovedì 11 luglio 2013

AUGURI DI BUON ONOMASTICO, BENEDETTO XVI!



Quest'oggi festeggiamo San Benedetto abate, Patrono d'Europa.

Il blog augura un sereno onomastico al Papa Emerito Benedetto XVI, in comunione di preghiera!

 

martedì 9 luglio 2013

IL MUTISMO DEL MALE E IL GRANDE COMANDAMENTO DELL'AMORE. RIflessioni a margine del Vangelo di oggi



Il Vangelo di oggi (Mt 9,32-38) mi colpisce per i primi due versetti:

"Presentarono a Gesù un muto indemoniato. 
E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare".


Pensando al "mutismo" di quest'uomo posseduto dal diavolo, ho tracciato una pista personale di riflessione, in cui sono TRE i silenzi che il diavolo ci impone -o ci vorrebbe imporre- nel peccato e -sebbene in misura minore ed in diverso modo- anche nella tentazione.


1)  l'opera di satana ci rende muti nei confronti di Dio: non riusciamo ad interagire con Lui se siamo presi dal desiderio di soddisfare il nostro volere, piuttosto che il Suo.
In questo senso, farci abitare dal peccato o consentire alla tentazione di spingersi troppo oltre, ci conduce all' ìincapacità di parlare con Colui che sempre ci dice ciò che è bene o male, attraverso la Parola e l'insegnamento della Santa Madre Chiesa.
Perseverare sulla strada del mutismo porta quindi  all'ostinazione nel peccato o impedisce di vincere prontamente la tentazione.
In sostanza, più si lascia parlare il nemico, più si mette a tacere Dio!

2) il diavolo rende l'uomo muto nei confronti degli altri: il peccato vissuto e la tentazione non prontamente respinta determinano l'egoismo di chi si lascia vincere dal male nella caduta o allettare da esso nell'idea della tentazione.
L'uomo finisce così per soffocare in sè l'amore per il prossimo, dando spazio solo all'egoismo.

3) infine, il diavolo rende l'uomo muto verso sé stesso, verso quella voce della coscienza che alberga in lui ed attraverso la quale Dio stesso vorrebbe parlare, far venire fuori il meglio della creatura, le potenzialità nascoste, farle sviluppare i talenti ricevuti, rendersi dono per i fratelli.
Il male mette a tacere quell'essere "cosa molto buona" (Gn 1,31) per l'uomo, creato ad imamgine e somiglianza divina.
 

Solo scacciando il demonio da noi, sconfiggendo il peccato, resistendo alla tentazione, sarà possibile vincere il triplice mutismo che annulla il triplice amore e realizzare così pienamente la "perfezione" della carità cui Cristo ci invita, il GRANDE COMANDAMENTO che porta a compimento tutta l'antica Legge e i Profeti:


" «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 

Questo è il grande e primo comandamento.

 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 

Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»".

(Mt 22, 37-40)

lunedì 8 luglio 2013

VOCAZIONE: NO ALL' "ACIDITA' " DELLA SOLITUDINE!


(Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Vita Consacrata, n.21 ) 
Papa Francesco, sabato scorso, nell'incontrare novizi, novizie e giovani in ricerca vocazionale, venuti a Roma in pellegrinaggio, è tornato ad usare un termine di cui già aveva fatto uso nel suo discorso alle superiore generali (8 maggio 2013) invitando i consacrati a non essere "zitelli e zitelle".
A prima vista il concetto suscita un po' di ilarità in alcuni, di stizza in altri...ma proviamo a superare gli attriti di quella che a molti sembra una forma poco elegante sul piano linguistico e concentriamoci invece sul contenuto.
Quando una persona si definisce "single" non si dà un colore preciso all'essere "soli".
Si è soli e basta, qualcuno per scelta e qualcuno perché le circostanze lo hanno portato ad una vita senza fidanzato o consorte.
A volte sentiamo anche dire: "sono felicemente single" e allora la parola assume una sfumatura precisa, positiva per chi la pronuncia.
Quasi dicesse: sto solo, ma bene con me stesso. Non avverto la mancanza di niente, di nessuno, sono "completo" ugualmente.
Se pensiamo -al contrario- al termine "zitella" ecco che tutto cambia: il colore della parola diventa di certo scuro, la connotazione è fortemente negativa.
Ci viene in mente qualcuno che è forzatamente rimasto solo, che ha assunto un atteggiamento un po' "acido" e che vive malamente la sua condizione di solitudine. 
La "zitellona acida", nell'immaginario collettivo, è la persona che avrebbe desiderato avere un marito, ma che per vari motivi non si è sposata e si è lasciata "rodere" dal tarlo della mancanza di affetto, divenendo a sua volta incapace di donarne agli altri.
Insomma: la zitella, nella sua accezione negativa, è la persona che non si sente amata e si rende "arida", povera di sentimenti.
Il Papa allora, nell' invitare i consacrati a non essere "zitelli e zitelle", vuole spingere coloro che hanno ricevuto la vocazione per eccellenza a non affrontare la consacrazione come un peso nell' APPARENTE solitudine, ma a ricordare che la loro condizione non è neanche quella di single, ma di SPOSATI.
Sì, sposati: Gesù è lo Sposo delle anime consacrate, e dunque non si è, non si può essere consacrati single, né tantomeno zitelli...
Dio "AMA" colore che sceglie di un amore speciale, di "predilezione".
Il consacrato non è un "non amato", al contrario, è una persona che Dio vuole INABISSARE oltre misura di amore!
Trova qui il suo inserimento il rimando alla "cultura del provvisorio" che va decisamente scartata:un consacrato che risponde alla chiamata e decide si "sposare" Cristo deve sapere che un buon matrimonio riesce bene se fin dall'inizio le premesse non sono quelle del temporaneo, ma del per sempre.
"L'amore per prova" non produce che insicurezza e dall'insicurezza non nascono mai frutti stabili, perché si passa repentinamente dalla soddisfazione di un desiderio all'altro, tanto sul piano materiale, quanto su quello spirituale. 
Cosa che diventa limitativa per l'anima del consacrato, perché impedisce all'AMORE di mettere RADICI SOLIDE, producendo -al contrario- quello che nell'enciclica LUMEN FIDEI lo stesso Papa ribadisce: la cultura degli idoli del mondo cui attaccare il cuore (Lumen Fidei n.57).
Solo una prospettiva a lungo termine permette di "chiudere la porta da dentro", vale a dire, impegnarsi continuamente, costantemente, quotidianamente affinchè il cuore rimanga integralmente donato a Colui che è stato scelto in risposta alla vocazione.
Il Papa non dice: lanciatevi senza pensare, senza prendervi tempo.
Il Papa invita a ponderare la scelta, ma ad essere poi risoluti, decisi, una volta compresa la chiamata.
Le difficoltà, i momenti di crisi, le tentazioni, si superano solo se, una volta pronunciato il proprio SI', la chiave sigilla il cuore, e si rimane fedeli alla scelta fatta....
La fedeltà non è un dato aleatorio, in una consacrazione, bensì un elemento ESSENZIALE: solo rimanendo fedeli alla chiamata sarà possibile produrre il frutto che è il risultato del seme vocazionale gettato dal Seminatore...
Ecco perché il Papa parla anche di "maternità e paternità": un matrimonio senza figli rimarrebbe qualcosa di incompleto e porterebbe a vivere ancora più maldestramente la condizione di consacrazione.
Qui appare evidente la differenza fra matrimonio e consacrazione: in un certo senso, due persone sposate, anche senza figli, possono trovare una loro dimensione "integrale" già nel rapporto di coppia, in cui sentono pure tangibilmente la presenza l'uno dell'altro e si manifestano la reciproca donazione sponsale.
Tuttavia, anche nel matrimonio rimane la necessità di una coppia che protietti pure verso l'esterno il "frutto" di quella donazione, perché altrimenti, anche gli sposi rimangono "infecondi".
In una consacrazione a Dio, questo fattore è ancora più palese: solo il rivolgersi al tu umano in cui so possa trovare rispecchiato il TU divino -a immagine e somiglianza divina- consente di aprirsi alla paternità e maternità di cui parla il Papa.
Una paternità e maternità che saranno necessariamente spirituali, ma non per questo meno importanti!
Gesù non è visibile materialmente ma il consacrato Lo ritrova nell'altro che incontra, a partire dai confratelli, dalle consorelle, dai familiari, ma anche dal povero, dall'ammalato, dall'estraneo...
Così scriveva Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica "Vita consacrata", n. 75:
La ricerca della divina bellezza spinge le persone consacrate a prendersi cura dell'immagine divina deformata nei volti di fratelli e sorelle, volti sfigurati dalla fame, volti delusi da promesse politiche, volti umiliati di chi vede disprezzata la propria cultura, volti spaventati dalla violenza quotidiana e indiscriminata, volti angustiati di minorenni, volti di donne offese e umiliate, volti stanchi di migranti senza degna accoglienza, volti di anziani senza le minime condizioni per una vita degna.
La vita consacrata mostra così, con l'eloquenza delle opere, che la divina carità è fondamento e stimolo dell'amore gratuito ed operoso". 
Papa Francesco ha ribadito che la gioia del consacrato nasce dall'incontro con Dio, che spinge a comunicare questa felicità, ad essere consacrati gioiosi, perchè AMATI e capaci di AMARE.
"Dov’è il centro della mancanza di gioia? 
E’ un problema di celibato. 
Vi spiego. 
Voi, seminaristi, suore, consacrate il vostro amore a Gesù, un amore grande; il cuore è per Gesù, e questo ci porta a fare il voto di castità, il voto di celibato. 
Ma il voto di castità e il voto di celibato non finisce nel momento del voto, va avanti… 
Una strada che matura, matura, matura verso la paternità pastorale, verso la maternità pastorale, e quando un prete non è padre della sua comunità, quando una suora non è madre di tutti quelli con i quali lavora, diventa triste. 
Questo è il problema. 
Per questo io dico a voi: la radice della tristezza nella vita pastorale sta proprio nella mancanza di paternità e maternità che viene dal vivere male questa consacrazione, che invece ci deve portare alla fecondità. 
Non si può pensare un prete o una suora che non siano fecondi: questo non è cattolico! Questo non è cattolico! 
Questa è la bellezza della consacrazione: è la gioia, la gioia…"
Il Papa ha messo a fuoco il "nocciolo" della gioia, il nocciolo della consacrazione, il nocciolo dell'AMORE: vivere la castità non come una castrazione, ma come la possibilità di una donazione a Dio e all'altro, che apre gli scenari, gli spazi entro i quali, a partire dai quali il consacrato possa riversare fuori di sé stesso la felicità, la pienezza che Dio gli comunica.

Non da ultimo, Francesco lancia un monito importante: contemperare la dimensione di Maria e Maria:


  "Siate contemplativi e missionari. 
Tenete sempre la Madonna con voi, pregate il Rosario, per favore… 
Non lasciatelo! 
Tenete sempre la Madonna con voi nella vostra casa, come la teneva l’Apostolo Giovanni. 
Lei sempre vi accompagni e vi protegga".

lunedì 1 luglio 2013

MESE DEL PREZIOSISSIMO SANGUE....


'Ecco, io faccio nuove tutte le cose'

(Ap 21,15) 


Sul Monte Calvario avviene qualcosa di straordinario: un Uomo  muore in Croce, versa tutto il Suo Sangue e da una trafittura del Suo Costato sgorgano, quando è già senza più vita, ancora delle gocce.
 Acqua e Sangue che irrorano la terra e le danno nutrimento.



Il nutrimento è tutto spirituale, ma produce frutti impensabili: la redenzione dell'umanità.

Se l'uomo nuovo che si faceva "nuovo Adamo" era già venuto in Cristo, "primizia" di tutti gli uomini nuovi, in un certo senso, per l'umanità intera -e non solo-, l'istante in cui il Preziosissimo Sangue di Cristo tocca il suolo e lo bagna, diventa un nuovo big-bang, una ripartenza, una rinascita.

"Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto", leggiamo in San Paolo (Rm 8,22).

E così prosegue l'apostolo delle genti:
 
"Essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 
Poiché nella speranza noi siamo stati salvati" (Rm 8,23-24)

L'adozione a figli di Dio, attraverso il Battesimo, il cattolico la riceve nel momento stesso in cui la Grazia lo tocca, il Sacramento lo trasforma ed imprime in lui un segno indelebile.
La redenzione del corpo, in un certo senso, comincia già qui, ora: la morte di Cristo, il Suo Preziosissimo Sangue versato per gli uomini, rende possibile non solo la nostra risurrezione futura, ma anche quel vivere secondo lo Spirito e non secondo i desideri della carne, di cui proprio lo stesso San Paolo, sempre al cap.8 della lettera ai Romani.

Dio ci fa nuovi per i meriti del Sangue di Cristo Suo Figlio.
Dio ci fa nuovi affinché possiamo gustare un anticipo della beatitudine del Paradiso, una felicità che sulla terra è sempre come quella della donna incinta, cioè di colei che porta in sé il germe della vita nuova, che sa con certezza che il bambino nascerà, ma che affronta nove mesi di gravidanza, vivendo nell'attesa del suo bambino.

E' bella l'analogia del parto che usa San Paolo, perché la gestazione è il tempo della cura, della premura verso la creatura che si porta in grembo e quindi anche verso la madre che la ospita.
Come in una gravidanza, anche la vita spirituale esige questa attenzione: badare ai dettagli, ad una sorta di "dieta interiore" per mortificare le sregolatezze della carne che potrebbero mettere a repentaglio il buon esito della gravidanza.
Sottoporsi a dei "controlli" periodici (la confessione, un buon colloquio spirituale,  un ritiro, un pellegrinaggio),alimentarsi di cibi sani (Eucaristia, preghiera, lettura spirituale e meditazione), praticare una moderata attività che consenta di mantenersi sani ed in forma (un po' di "ascetica"!).

Anche la "gravidanza dello spirito" ha i suoi vantaggi attuali: a volte si gusta la dolcezza della speranza che già abita nel cuore dell'uomo, si pregusta la felicità che ora soltanto si può immaginare come meravigliosa per il tempo dell'eternità.

La stessa creazione, che "geme" nelle doglie delo stesso parto che coinvolge l'uomo, diventa una fonte di contemplazione, in cui intravedere qualcosa del misterioso, stupendo disegno di Bellezza Divina.

E' tutto un riflesso della Gerusalemme Celeste, e mi piace pensare che -metaforicamente parlando- anche la stessa natura, l'ambiente che ci viene donato in "custodia" da Dio, abbia ricevuto dei grandi benefici da quel Sangue di ineffabile valore che si è depositato sul suolo durante la Passione di Cristo.

Adamo era stato pensato per il Paradiso terrestre, il nuovo Adamo porta già qualcosa di "nuovo" nel Creato.
Il Sangue di Gesù è stato "assorbito" dalla terra, già solo per questo l'ambiente che ci circonda meriterebbe quella cura, quel rispetto a cui i pontefici ci hanno invitato e ci invitano nel loro succedersi.


Il Sangue di Gesù ha rinnovato ogni cosa, e questo ci "impone" un compito di responsabilità:
custodire noi stessi, che Dio ha ritenuto così preziosi da non farGli risparmiare il Sacrificio del Figlio, pur di salvarci;
custodire gli altri, che sono stati anche loro oggetto della Redenzione Divina;
custodire il creato, che ha "raccolto" le Gocce del Sangue di Gesù.


"E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato,è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. 
E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. 
E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. 
E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. 
In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. 
Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna. 


Per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! 
Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! 
Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! 
Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. 

Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!"

(Papa Francesco, omelia di inizio pontificato)