martedì 29 gennaio 2013

TRIDUO A SAN GIOVANNI BOSCO- secondo giorno: "La pedagogia della bontà"-







TRIDUO A SAN GIOVANNI BOSCO

Secondo giorno: La pedagogia della bontà


O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre 
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare Gesù Sacramentato, 
Maria Ausiliatrice 
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona morte,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 
Amen.



"L'amorevolezza di Don Bosco è,senza dubbio, un tratto caratteristico della sua metodologia pedagogica.
Non è però riducibile a un solo principio pedagogico, è amore autentico perché attinge da Dio; è amore che si manifesta nei linguaggi della semplicità, della cordialità e fedeltà; è amore che genera desiderio di corrispondenza; è amore che suscita fiducia, aprendo la via alla confidenza e alla comunicazione profonda; è amore che si diffonde creando un clima di famiglia, dove lo stare insieme è bello ed arricchente" . 
(Don Pascual Chavez, Strenna 2013)

Il concetto di "amorevolezza" è fondamentale per comprendere la pedagogia salesiana.
Don Bosco stesso lo riassume, in vari modi ed occasioni, attraverso frasi incisive, come:
"Studia di farti amare piuttosto che di farti temere" o "cerca di farti amare, di poi ti farai ubbidire con tutta facilità" e, ancora "i giovani si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati".

La vera summa della pedagogia salesiana dell'amorevolezza la si trova nella LETTERA DA ROMA del 1884.

Don Bosco la indirizzò ai suoi giovani di Torino quando stava per rientrare nel capoluogo piemontese dopo uno dei suoi viaggi a Roma.

In essa viene esplicitato chiaramente in cosa consista l'amorevolezza: "i giovani non solo siano amati, ma essi sappiano di essere amati".

Come far conoscere, concretamente, questo amore?
Don Bosco non vuole che l'amore si dimostri a parole, ma che si traduca in un "metodo" tagliato su misura per tutti e per ciascuno.
Richiede la presenza degli educatori in mezzo ai giovani, ma una presenza che sia accoglienza, di interesse alla conoscenza dei loro gusti, di coinvolgimento nelle loro ricreazioni, di affettività contenuta, ma "personalizzata".
E' noto ad esempio, che don Bosco si facesse "tutto a tutti" per i suoi ragazzi, quando nel cortile riusciva a trovare, per ognuno di essi, una parola, un gesto, uno sguardo.
Erano piccole, grandi finezze salesiane che facevano sentire ognuno il "preferito" di Don Bosco, spingendolo così ad aprirsi in piena confidenza, specialmente nella confessione, e a lasciarsi guidare verso la santità.

 Scrive don Chavez, nella Strenna 2013: "L'amorevolezza diventa segno dell'amore di Dio, e strumento per risvegliare la sua presenza nel cuore di quanti sono raggiunti dalla bontà di Don Bosco; è una via all'evangelizzazione".

Don Bosco ha veramente fatto suo e "reinterpretato" nella missione giovanile, lo stile del Patrono della Congregazione Salesiana: quello di San Francesco di Sales, che era solito dire "Attira più mosche un goccio di miele, che un barile di aceto".

Proviamo a imitare don Bosco in questa sua amorevolezza, in tutte le nostre relazioni,; indubbiamente è un modo di vivere i rapporti interpersonali che "richiede forti energie spirituali" (Strenna 2013), ma che può dare grandi soddisfazioni...anche se a volte dopo molte fatiche.
Don Bosco ci aiuti, invocando per noi la sua "maestra": Maria Ausiliatrice.

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