sabato 21 agosto 2010

La musica sacra. Pensieri di Benedetto XVI e San Pio X



"Quale importanza ha la musica per la religione della Bibbia lo si può dedurre facilmente dal fatto che la parola cantare (con i suoi derivati) è una delle parole più usate della Bibbia. [...] Dove Dio entra in contatto con l'uomo, la semplice parola non basta più. Vengono toccati punti dell'esistenza che diventano spontaneamente canto: ciò che è proprio dell'uomo non basta più per ciò che egli deve esprimere, tanto che egli invita tutta la creazione a divenire canto insieme con lui.
(Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia)

Ascoltare il canto gregoriano, produce sempre una forte "emozione", si tratta di un tipo di "musica", che, per tutta una serie di sue connotazioni, riesce a immergere nel mistero: il Mistero per eccellenza, quello di Dio, della sua grandezza, magnificenza, degno di lode.

Proviamo a comparare un canto che tanti conosciamo, come ad es. il Magnificat, cantato in lingua volgare, magari con melodia moderna, e quello cantano in gregoriano.
La differenza sarà notevole!
Nulla volendo togliere alla musica sacra moderna, indubbiamente, il canto in gregoriano "stimola" il nostro orecchio spirituale, calandoci in un clima di maggiore raccoglimento e preghiera. 

Dice sempre il Papa, nel volume sopra citato: "nella storia della musica liturgica è dato osservare un ampio parallelismo con gli sviluppi della questione delle immagini. 
In Occidente il canto dei salmi dei cori gregoriani è stato sviluppato a un'altezza e a una purezza nuova, che costituiscono un criterio permanente per la musica sacra, vale a dire, per la musica che accompagna le celebrazioni liturgiche della Chiesa. 
Nel tardo medioevo si sviluppa da qui la polifonia e gli strumenti entrano di nuovo a far parte della liturgia.
Due nuovi fattori operano ora nella musica della Chiesa: la libertà artistica rivendica sempre più spazio anche nel servizio liturgico; la musica ecclesiastica e quella profana si compenetrano a vicenda.
E' chiaro che, aprendo alla creatività artistica e ai motivi secolari, non si poteva evitare un'insidia pericolosa: la musica sacra non si sviluppa più dalla preghiera, ma si stacca dalla liturgia proprio in forza della pretesa autonomia dell'elemento artistico, diventa fine a se stessa o spalanca le porte a forme di esperienza e di sensibilità completamente differenti; essa finisce per sottrarre alla liturgia la sua vera essenza.
Su questo punto il Concilio di Treno è intervenuto nel conflitto culturale allora in atto e ha ristabilito la norma secondo la quale nella musica liturgica l'aderenza alla parola è prioritaria [...] e indicando una chiara differenza tra la musica progana e la musica sacra.
Un secondo intervento vi è stato all'inizio del Novecento con il Papa Pio X.
Il barocco aveva riportato una sorprendente unità tra musica secolare e musica nelle celebrazione liturgica.
In chiesa possiamo ascoltare Bach oppure Mozart, in ambedue i casi sperimentiamo in maniera sorprendente che cosa significa Gloria Dei, Gloria di Dio.
Ci troviamo di fronte al mistero della bellezza infinita che ci fa sperimentare la presenza di Dio in maniera più vera e più viva di quel che potrebbe accadere attraverso molte prediche.
Ma già si annunciano dei pericoli: la dimensione soggettiva e la sua passionalità sono ancora contenute dall'ordinamento del cosmo musicale, in cui si riflette l'ordine stesso della creazione divina. Ma già minaccia di farsi strada il virtuosismo, la vanità della propria abilità, che non si pone più al servizio del tutto , ma vuole spingere se stessa in primo piano". 

Sono questi, infatti, i fattori che condussero ad un massiccio prevalere della musica operistica nella liturgia, conto i cui "pericoli" aveva già preso provvedimenti il Concilio di Trento e contro cui intervenne anche Pio X, "indicando il canto gregoriano e la grande polifonia dell'epoca del rinnovamento cattolico, come criterio della musica liturgica, che deve essere chiaramente distinta dalla musica religiosa in generale, analogamente a quello che accade per l'arte figurativa, che nella liturgia deve seguire criteri diversi da quelli dell'arte religiosa in generale.
Nella liturgia, l'arte ha una responsabilità del tutto particolare e proprio in questo modo viene a essere di continuo scaturigine di cultura".

Quello dell' "inventiva" è un problema quanto mai presente anche ai nostri giorni.
La liturgia non sempre viene animata con canti che, pur moderni, siano adeguati all'insuperabile valore infinito della Messa che viene celebrata.
Tanto più, ormai, il canto gregoriano è sempre meno frequentemente utilizzato nelle Chiese, anche nel corso di celebrazioni "ufficiali" o particolarmente importanti.
Peccato, un vero peccato, anche perché si tratta di un canto che, ancora oggi, piace a molti, come dimostrano  i dati sugli acquisti dei cd di musica sacra "gregoriana".
Evidentemente, l'orecchio allenato "al bello", riconosce quel quid pluris che il gregoriano reca in sè, un patrimonio da tutelare, dunque, non da far scomparire!
Discorso che, a maggior ragione, varrebbe nell'ambito dell'animazione musicale della Sacra Liturgia.

Papa Pio X, che si festeggia quest'oggi, nel Motu Proprio "Tra le sollecitudini del Sommo Pontefice Pio X sulla musica sacra", affermava: "la musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli.
 Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche, e siccome suo officio principale è dì rivestire con acconcia melodia il testo liturgico che viene proposto all’intelligenza dei fedeli, così il suo proprio fine è di aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli con tale mezzo siano più facilmente eccitati alla devozione e meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri.
 La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere, che è l’universalità.
Deve essere santa, e quindi escludere ogni profanità, non solo in se medesima, ma anche nel modo onde viene proposta per parte degli esecutori.
Deve essere arte vera, non essendo possibile che altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta quell’efficacia, che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni.
Ma dovrà insieme essere universale in questo senso, che pur concedendosi ad ogni nazione di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di altra nazione all’udirle debba provarne impressione non buona.


Queste qualità si riscontrano in grado sommo nel canto gregoriano, che è per conseguenza il canto proprio della Chiesa Romana, il solo canto ch’essa ha ereditato dagli antichi padri, che ha custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone ai fedeli, che in alcune parti della liturgia esclusivamente prescrive e che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito alla sua integrità e purezza.
Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme.
L’antico canto gregoriano tradizionale dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto, tenendosi da tutti per fermo, che una funzione ecclesiastica nulla perde della sua solennità, quando pure non venga accompagnata da altra musica che da questo Soltanto.


In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi.
 Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto".


Non si trattava all'epoca (come oggi), di "negare" ogni progresso dell'arte, in questo caso della musica, ma di rammentare che la Liturgia ha così grande valore (e che valore!), da far si che non tutti si confaccia allo splendore, alla cura, con cui deve essere animata.


Lo stesso San Pio X, infatti, sanciva che: "la Chiesa ha sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti, ammettendo a servizio del culto tutto ciò che il genio ha saputo trovare di buono e di bello nel corso dei secoli, salve però sempre le leggi liturgiche. Per conseguenza la musica più moderna è pure ammessa in chiesa, offrendo anch’essa composizioni di tale bontà, serietà e gravità, che non sono per nulla indegne delle funzioni liturgiche.
Nondimeno, siccome la musica moderna è sorta precipuamente a servigio profano, si dovrà attendere con maggior cura, perché le composizioni musicali di stile moderno, che si ammettono in chiesa, nulla contengano di profano, non abbiano reminiscenze di motivi adoperati in teatro, e non siano foggiate neppure nelle loro forme esterne sull’andamento dei pezzi profani".


Il problema del "giusto" decoro liturgico, non è legato solo al passato.
Anzi, il Concilio di Trento, Papa Pio X, Benedetto XVI, ci rammentano che si tratta di un'argomentazione sempre attuale, perché altrettanto attuale è il rischio che l'uomo, pur nella produzione di "arte" vera, finisca con il confondere ciò che sia più consono alle diverse situazioni, ai diversi riti, in particolare al "Rito" per eccellenza.


Sostanzialmente, è quello a cui siamo portati anche in occasioni "spicciole", come ad es. recarci in un certo posto piuttosto che in un altro: se andiamo in spiaggia a passeggiare, indosseremo una tenuta sportiva, comoda; ma se decideremo di andare a teatro, sfoggeremo il nostro miglior vestito da sera, i nostri gioielli più belli e il nostro trucco più raffinato.
Non necessariamente dovrà essere un "trucco e parrucco" antico (il vecchio vestito anni 20 della bisnonna!), ma di certo, sceglieremo, nel caso in cui non avessimo a nostra disposizione un guardaroba "retrò", qualcosa che, pur se moderno, rispetti determinati canoni di "eleganza".

Il discorso, è, per analogia, identicamente applicabile alla Liturgia e alla musica sacra: se si tratterà di musica moderna, andranno evitati determinati "eccessi", ma sarà cosa buona non dimenticare neanche il canto gregoriano, mantenendolo in vita, come patrimonio musicale della nostra tradizione liturgica, e come massima espressione di quelle qualità descritte da Papa Pio X!

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