martedì 13 aprile 2010

Proviamo a "decantare" l'aceto che i giornali ci spacciano per vino! Rapporti tra leggi e giurisdizioni statali ed ecclesiastiche



E' stata pubblicata ieri, la “Guida alla comprensione delle procedure di base della Congregazione per la Dottrina della fede riguardo alle accuse di abusi sessuali”, reperibile sul sito del Vaticano, all'interno di un'apposita sezione -intitolata :  Abuso sui minori. La risposta della Chiesa.
Le prime righe del documento sentenziano: “La disposizione che deve essere applicata è il Motu Proprio Sacramentorum sancitatis tutela del 30 aprile 2001 insieme al Codice di Diritto Canonico del 1983.  La presente è una guida introduttiva che può essere d'aiuto a laici e non canonisti”.
Su vari giornali è stato riportato -per dirla succintamente- che la “novità” di tali linee guida, rispetto al Motu Proprio, consisterebbe nel contenere esplicito riferimento alla “collaborazione con le autorità civili”. 
Si legge infatti: “Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte”. 
La carta stampata ha enfatizzato questo punto del documento reso noto ieri (ma applicato già dal 2003, come regolamento interno della CDF), sostanzialmente facendo intendere che, per la prima volta, si metterebbe nero su bianco che la normativa interna della Chiesa non impedirebbe l'applicazione di quella statale. 
Ritengo che questo puntare il dito su tale elemento sia fuorviante per i più, che hanno probabilmente una concezione del diritto ecclesiastico, di quello canonico e dei procedimenti ad essa interni, totalmente sbagliata, fondata sull' altrettanto errata conoscenza dei Patti Lateranensi e delle normative interne alla Chiesa stessa.
Sarebbe allora opportuno rinfrescare un po' alcuni concetti, per evitare che le affermazioni giornalistiche continuino ad inculcare l'idea di una Chiesa che “sottrae” (o abbia voluto sottrarre) crimini all'applicazione della normativa statale (civile o penale che sia).

Partiamo dai concetti base:
  • diritto ecclesisatico: "settore dell'ordinamento giuridico dello Stato che riguarda il fattore religioso [...] che concerne la vita e le attività delle Chiese, soprattutto nei loro rapporti esterni -con le altre Chiese o con lo stato-" (leggiamo nel "Manuale di diritto ecclesiastico" di Mario Tedeschi). Vi rientrano i Patti Lateranensi, alcune norme costituzionali e via dicendo...;
  • diritto canonico: "diritto che concerne l'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica [...] queste norme, assumono rilievo solo se espressamente richiamate dal nostro ordinamento, attraverso le tradizionali figure tipiche del diritto internazionale privato” ;
  •  il diritto internazionale privato, sancisce principi generali, quali, ad esempio, quelli rinvenibili nella Legge 31 maggio 1995, n. 218  : ART.3  La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 Cod. Proc. Civ. e negli altri casi in cui è prevista dalla legge. Art. 4 Accettazione e deroga della giurisdizione 1. Quando non vi sia giurisdizione in base all'art. 3, essa nondimeno sussiste se le parti l'abbiano convenzionalmente accettata e tale accettazione sia provata per iscritto (vedi Patti Lateranensi)
  • i patti lateranensi non affermano in alcun modo che l'essere sacerdoti o religiosi, non comporti la soggezione alla legge interna di uno Stato. Ovviamente, qui parliamo di quanto è relativo al rapporto Italia-Chiesa, ma sostanzialmente, il discorso è “espandibile” anche ad altre situazioni normative di altri Stati.  L'art. 9 del Trattato (che fa parte dei Patti Lateranensi), addirittura, a scanso di equivoci in tal senso, sentenzia: “In conformità alle norme del diritto internazionale sono soggette alla sovranità della Santa Sede tutte le persone aventi stabile residenza nella Città del Vaticano. Tale residenza non si perde per il semplice fatto di una temporanea dimora altrove, non accompagnata dalla perdita dell'abitazione nella Città stessa o da altre circostanze comprovanti l'abbandono di detta residenza. Cessando di essere soggette alla sovranità della Santa Sede, le persone menzionate nel comma precedente, ove a termini della legge italiana, indipendentemente dalle circostanze di fatto sopra previste, non siano da ritenere munite di altra cittadinanza, saranno in Italia considerate senz'altro cittadini italiani. Alle persone stesse, mentre sono soggette alla sovranità della Santa Sede, saranno applicabili nel territorio della Repubblica italiana, anche nelle materie in cui deve essere osservata la legge personale, quelle della legislazione italiana, e, ove si tratti di persona che sia da ritenere munita di altra cittadinanza, quelle dello Stato cui essa appartiene”.

Il succo è chiaro: non c'è “alternatività” tra le norme statali e quelle del diritto canonico (quindi non è vero che o si applica l'una o si applica l'altra!), perché queste ultime non regolamentano fattispecie giuridiche dal punto di vista di “reato” o “delitto” come inteso nei nostri codici, ma, dicendola in termini molto spiccioli, sul piano di ciò che è “spirituale”, proprio della Chiesa! 
Il can. 1401 del codice di diritto canonico, statuisce infatti:  "La Chiesa per diritto proprio ed esclusivo giudica: 1) le cause che riguardano cose spirituali e annesse alle spirituali; 2) la violazione delle leggi ecclesiastiche e tutto ciò in cui vi è ragione di peccato, per quanto concerne lo stabilirne la colpa ed infliggere pene ecclesiastiche". 
Questo vuol dire che (a dispetto di quanto erroneamente si lascia più volte intendere, non solo in occasione della pubblicazione delle linee guida), un reato che sia tale per la legge italiana, sarà perseguibile e punibile in base alla normativa italiana, secondo quanto viene previsto dai nostri codici (penali e civili). Rimarrà parimenti punibile sul piano "religioso", per comminare le pene "ecclesiastiche".
Stupisce però una cosa: questo “meccanismo” parallelo tra le due giustizie, in alcuni casi sembrerebbe essere dato per “scontato” e quindi conosciuto. 
Siamo al solito “due pesi e due misure”: perché nessuno si lamenta che la Chiesa scomunichi per il delitto di aborto, anche se attuato entro i primi 3 mesi di gestazione?
La normativa italiana, infatti, non considera “delitto” l'aborto quando praticato nei primi 90 giorni dal concepimento, o dopo tale termine in presenza di “circostanze particolari”, mentre per la Chiesa, il diritto canonico prevede -senza distinzioni "temporali"-, al Can. 1398: "Chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica latae sententiae".  (si parla qui di aborto "diretto", come precisato dal CCC).
Eppure, la Chiesa non ha mai “impedito” una “disapplicazione” della legislazione interna, che non concepisce l'aborto come “omicidio”. Qui, però, nessuno si lamenta: si sa che il diritto canonico considera delitto l'aborto, si sa quindi che le due “legislazioni” (e anche le due giurisdizioni, visto che la legge italiana prevede delle pene per la violazione della normativa sull'interruzione volontaria della gravidanza) corrano in “parallelo”. 
Perché si finge (SI FINGE!) nei casi relativi alla pedofilia, di NON sapere che la legge e la giurisdizione ecclesiastica non "escludono" quelle italiane o di qualsivoglia altro stato?
Insomma, i giornali ci spacciano per vino buono, l'aceto stantio che ci offrono da bere.
Bisogna usare solo un pò di buon senso, per "decantare" questa bevanda aspra che ci servono quotidianamente. 
Guardiamo a come vengano trattate altre "situazioni", e sarà facile capire che la distinzione fra la giustizia ecclesiastica e quella civile è già ben nota alla cara carta stampata, ma fa comodo fingere di non ricordarsene, quando questo contribuisce ad ingenerare confusione fra i lettori e discredito ai danni della Chiesa Cattolica.

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